RECENSIONE: JoyCut – Pieces Of Us Were Left On The Ground

Recensione di Claudio Delicato

La prossima volta che la DEA aggiornerà la lista delle droghe che danno più dipendenza lancerò una petizione su change.org perché ai primi due posti figurino i pistacchi e i dischi dei JoyCut. Questo quartetto lucano ha capito una cosa molto semplice: che l’elettronica non è solo svegliarsi a mezzogiorno con la testa nel proprio vomito in un cesso chimico del Diabolika e i ricordi della sera prima che si fermano al momento in cui cercavate di convincere una tigre del Bengala a prepararvi uno spritz dopo esservi intrufolati abusivamente allo zoo travestiti da Umberto Smaila. Al contrario, è un genere dal respiro più ampio, con mezzi praticamente illimitati che permettono di esprimere uno sconfinato ventaglio di emozioni.

PiecesOfUsWereLeftOnTheGround è un disco intimista e delicato, quasi totalmente strumentale, che sembra raccontare in modo onesto e credibile un percorso personale prima che musicale. Va detto che i JoyCut non sono certo dei pivelli: alle spalle hanno una robusta carriera che li ha portati ad aprire le date degli Editors e calcare i palchi di mezzo mondo. E questo LP, il quinto, non è semplicemente un bel disco con qualche pezzo che spicca sugli altri, ma un album rotondo e coerente da ascoltare d’un fiato dall’inizio alla fine.

Di base si tratta di new wave, e se ci aggiungessi qualche prefisso sarebbe solo per farmi fico. È new wave e basta, incessante ed estremamente curata negli arrangiamenti; ma la cosa più apprezzabile di questo disco è che potenzialmente potrebbe non vendere neanche una copia in Italia, tanto è indifferente alle logiche del nostro mercato. Ma non ho dubbi che i JoyCut sapranno mantenere ed espandere un nucleo di intelligenti appassionati che li seguiranno in ogni dove, dato che se le premesse sono queste i loro live devono essere un’esperienza ai limiti dell’orgasmo.

La cura dei suoni e il missaggio sono davvero fuori dal comune per il nostro paese e non è un caso, data la solida esperienza internazionale dei JoyCut; finalmente un’elettronica che non strizza l’occhio al peggio degli eighties, moderna e mai derivativa, che tocca l’apice nella progressiva Dark star, in Funeral e nel gran finale di Children in love (per quanto Evil… ah, Evil).

A voler essere critici fino in fondo e trovare il pelo nell’uovo, diciamo che i JoyCut hanno una passione francamente incomprensibile per l’underscore_ alla_ fine_ delle_ parole_ e una altrettanto incomprensibile per scriverletutteattaccate, passioni che a mio parere mal si coniugano con il contenuto meno futuristico e più poetico dei loro comunicati, ma sono scelte stilistiche e non mi sento di metterle in discussione. Detto ciò, la prossima volta che un purista del rock stigmatizzerà la musica elettronica dicendo che “è solo tunz-tunz” avrò due scelte: fargli ascoltare il disco dei JoyCut o mangiargli la faccia.

Anzi, a pensarci bene credo che farò entrambe le cose.

PIECESOFUSWERELEFTONTHEGROUND – JOYCUT
(IRMA Records, 2013)

  1. Wireless
  2. Domino
  3. Individual routine
  4. Drive
  5. Dark star
  6. 1-D
  7. Funeral
  8. Children in love
  9. Kids kids kids
  10. Neverland
  11. Evil
  12. Pieces of us
  13. Save
  14. Berlin
  15. New poets

[vimeo http://www.vimeo.com/67889258 w=700]

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