LIVE+PHOTO REPORT: Joshua Redman @ Auditorium Parco della Musica [RM] – 20/10/2013

Live report di Skanderbeg

Un’atmosfera quasi primaverile il 20 di ottobre, l’aria frizzantina della sera, un Auditorium. Cosa manca per rendere più gradevole la serata di due giovani cronisti che si accingono ad assistere al concerto di Joshua Redman?

Entrati di soppiatto nella hall, i paladini dell’oggettività si precipitano al banco dei biglietti per ritirare i pass, ansiosi di varcare la soglia che li potrebbe condurre verso l’estasi sonora, ma qualcosa non va per il verso giusto. Dopo che il valente fotografo riesce immantinente a impossessarsi dell’agognato via libera, il cronista rimane invece incastrato nelle secche della confusione. C’è solo un pass disponibile! Un sentimento di scoramento improvviso lacera il cuore di chi vi scrive: la paura di non poter raccontare una nuova storia è così forte che l’emotività è lì lì per deflagrare, allorché la signora banchista, consapevole del torto che sta per fare e mossa da rispetto e comprensione verso i lettori di Just Kids, allunga alla fine un biglietto al vostro umile inviato.

E dopo un avvio in giallo ecco in arrivo il rosso delle emozioni! Bando alle ciance: la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica è gremita in ogni ordine di posto, per assistere alla prima serata del Roma Jazz Festival 2013 – Speech. Sul palco, prima del concerto, Paolo Rossi delizia il pubblico con alcune letture tratte da 10 Dicembre e Pastoralia di George Saunders. Un quarto d’ora di storie e battute ambientate tra racconti surreali e scene immaginifiche.

Atmosfera che rimane intatta quando sul palco entra la carica e l’esplosività di Joshua Redman e la sua band. Fin dai primi istanti il genio di Berkley cattura il pubblico in sala: tutti lo guardiamo stupiti. La facilità con la quale riesce ad alternare lunghe e a altissime note a velocissimi scambi di triplette su 3 ottave è davvero disarmante. I suoi compagni però non sono da meno: Aaron Goldberg al pianoforte inserisce all’interno dei brani melodie classicheggianti, Reuben Rogers al contrabbasso è puntuale e mai fuori luogo mentre Gregory Hutchinson alla batteria è letteralmente scatenato tra rullante, charleston e piatti.

Il sax tenore è in tutto e per tutto una protesi di Redman. Il sassofonista african-american scalcia, si agita e si contorce, si piega e si rialza. Bacia l’ancia con delicatezza e un secondo dopo affonda le sue labbra con veemenza. Redman è un figlio d’arte: il padre Dewey è stato un ottimo sassofonista free-jazz e il piccolo Joshua è così entrato immediatamente in contatto con musicisti del calibro di Ornette Coleman e Keith Jarreth. Nel suo sangue scorrono 100 anni di musica jazz e improvvisazioni. Sono evidenti nei suoi pezzi tracce del rapido hard-bop di Sonny Rollins. Se poi chiudiamo gli occhi è facile accostare le sue sonorità ai classici locali anni ’30: ambiente fumoso e mobili in frassino accompagnano i giovani neri americani che si scatenano di fronte al sax di Dexter Gordon, come racconta magnificamente Jack Kerouac sulle pagine di On the road.

Ma Redman non è assolutamente tipo da rimanere legato a un sotto-genere preciso e passa con estrema semplicità dal jazz modale di Davis e Coltrane all’Adagio di Bach. Tra standard e pezzi di classica, il sassofonista californiano inserisce alcuni brani originali come lo storico Echoes e la nuovissima Best, probabilmente le “chicche” della serata.

Un’ora e venti di concerto è davvero poco per godere appieno di artisti di questo calibro. Il cronista italiano molto spesso usa parole o frasi altisonanti per definire musicisti discreti, soprattutto se stranieri, ma in questo caso non pensiamo di provare alcuna vergogna se definiamo Joshua Redman uno dei più grandi e influenti sassofonisti attualmente in attività.

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