RECENSIONE: Kalweit and the Spokes – Mulch

Recensione di Andrea Barbaglia

È un disco dai forti sapori autobiografici questo Mulch, secondo album per il progetto sonoro capitanato da Georgeanne Kalweit, americana di Minneapolis trapiantata nel Salento dopo gli anni milanesi al fianco dei Delta V con cui assaporò un buon successo di massa nella prima metà degli anni ’00. Orfano già da qualche tempo di Leziero Rescigno, ma galvanizzato dall’ingresso in formazione di Mauro Sansone, batterista per Cesare Malfatti e Giuliano Dottori, il trio che ha in Giovanni Calella un vero e proprio asso nella manica capitalizza l’esperienza del precedente Around the edges affiancando al classico connubio chitarra-basso-batteria costruzioni elettroniche che ben si sposano con la visionarietà fascinosa dei testi, come sempre appannaggio di Georgeanne.

È uno sguardo sul presente che non dimentica le origini, quel terreno fertile, quell’humus da cui tutto ha avuto inizio. Sono le radici d’Oltreoceano, mai dimenticate in questi vent’anni e più di Italia, nonostante l’inevitabile scorrere del tempo che, lungi dal modificarle in maniera sostanziale, avanza tuttavia inesorabile, muto testimone di vite ed esperienze. Così, anche se non più la bambina di una volta – la cui immagine appare comunque nella foto di copertina intenta a giocare con del muschio accanto a una delle sue sorelline – la sensuale artista italo-americana fa il punto della situazione servendosi di tanti piccoli racconti popolati da personaggi reali e immaginari che sono la sua cifra stilistica, bagaglio cantautorale impossibile da scordare.

Così la percussività di Kate and Joan svela poco a poco una quotidianità cristallizzata dall’evocativa voce della Kalweit, a suo agio con le soluzioni sintetiche ma ugualmente asciutte che Calella innesta qui e nella solitudine specchiata di Liquor lyles, canzone dal nervoso vibe new wave capace di usufruire di una vincente resa pop non troppo lontana dai migliori Shivaree che la candida a futuro singolo.

Si viaggia a ritmo di Garbage tra le incomprensioni affettive di No need e le memorie sospese di Appliances, folk rock alternativo, desertico e circolare, di forte impatto. Murky Stuff a sua volta è country rock sbruffone, nero, da saloon, trasfigurato sinuosamente da soluzioni elettroniche che spariscono (quasi) completamente nel sarcastico omaggio alla bambola più famosa al mondo, protagonista suo malgrado in Barbie bit the dust, altro episodio che meriterebbe maggiore esposizione mediatica, dall’attitudine punkeggiante e iconicamente metropolitana.

Le divagazioni strumentali di Pea green sky confluiscono rapidamente nell’ansiogena ripetitività crepitante di Hank’s hour fino a trovare degno contraltare sonoro nel decadente recitativo che connota l’oscura Wetutanka e traendo forza tanto dalle partiture per violino affidate a Eloisa Manera quanto in quelle dedicate al clarinetto basso suonato da Nicola Masciullo. Calella si ritaglia un ruolo da protagonista nell’ampio finale strumentale di Pull the drapes, altrimenti esercizio di stile per la voce di Georgeanne, e reinventa, affiancato dallo Gnu Quartet, un vecchio brano scritto anni fa con Rescigno. Fifth daughter, orchestrale e cinematografica com’è in questa nuova veste, funge da ottima chiusura musicale su cui scorrono i titoli di coda di questo secondo lavoro discografico dato alle stampe dal trio italo-americano.

Non c’è alternativa ai pensieri intimi e inespressi che la mente partorisce e lascia sedimentare in noi lungo gli anni della nostra esistenza. Solo suggestioni che ritornano tra melodia e moderata sperimentazione. Per capire, leggendo fra le righe, dove stiamo andando.

MULCH – KALWEIT AND THE SPOKES
(IRMA Records, 2013)

  1. Kate and Joan
  2. Liquor lyles
  3. Barbie bit the dust
  4. Mulch
  5. Appliances
  6. Murky stuff
  7. No need
  8. Pea green sky
  9. Hank’s hour
  10. Pull the drapes
  11. Wetutanka
  12. Fifth daughter

[youtube=http://youtu.be/wlPpIz-kAbw]

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