RECENSIONE: Nils Frahm – Spaces

Recensione di Fabrizio Morando

L’arte di saper miscelare e amalgamare il tempo e lo spazio in un ecosistema multiforme fatto di elementi neoclassici e accademie sperimentali, stavolta impreziosito con contaminazioni lo-fi, registrazioni home-made in analogico molto spesso ridotte a bobine e nastri, incontra colpi di tosse sospiri e anime in movimento, tra un pubblico sempre pacato ma emotivamente coinvolto. “Ogni posto in cui ho suonato ha la propria magia e il proprio spirito,” rilascia Nils Frahm, rampollo berlinese con una smodata formazione classica, in una recente intervista durante la promozione del suo ultimo lavoro Spaces. Il rapporto sinergico tra performer e pubblico diventa la chiave di rottura al solito premeditato cliché del concept album dal vivo.

Chi non conosce Frahm, Spaces rappresenta l’occasione migliore per avvicinarsi al suo estro, a metà tra la nuova wave neoclassica sperimentale (Peter Broderick, Efterklang, Ólafur Arnalds tra i maggiori esponenti) e minimalismo elettronico americano con gusto retrò, in una sorta di flow sinergico tra accademia tardo ottocentesca e synth-loop con retrogusto vintage, sempre riadattato per non uscire mai dalla sottile linea mistica e solenne che lo caratterizza.

Il disco esordisce con An aborted beginning, un’intro propiziatoria giocata in elettronica e con la collaborazione del pubblico, e prepara la tela nella quale l’artista si appresta a gettare la vernice. I primi schizzi di tempera prendono il nome di Says, track utilizzata come teaser dallo stesso Nils durante la promozione del disco, che viaggia su escalation vertiginose: queste stesse – raggiunto il culmine – si fermano inaspettatamente nell’intento di preparare l’ascoltatore a un mondo destabilizzante di note e colori che tutto avrà tranne che un codice etico comune e unico.

Said and done è un fascio di luce tagliente e pulsante che costringe a socchiudere gli occhi. Ogni pulsazione è un mattone monocorde che contribuisce a creare un muro di suoni strutturale ed epico. I loop minimali di Steve Reich incontrano le elucubrazioni ambient di Sascha Ring, dimostrando un interesse comune nel disegnare suoni piuttosto che semplici beats techno-solidali.

Frahm ci rammenta la sua formazione classica in Went missing, messaggio ripreso e ampliato in Over there, it’s raining, dove le tessiture sonore sono pure ed in chiave di mera semplicità. Quando credi di essere arrivato a toccare il cielo, ti accorgi che manca ancora qualche scalino da salire. E ti chiedi se l’eterna demistificazione dell’armonia del cosmo si possa raggiungere solo scalando questa rimanente rampa metafisica, elevandoci cosi a una sfera d’infinita essenziale e comprensibile dolcezza.

For – Peter – Toilet brushes – More e la cristallina Ross’s harmonium costituiscono nel disco l’apoteosi di questo connubio tra sperimentale e neoclassico, dipingendo scie di stelle in questi spazi siderali e ancora una volta dimostrando questa eleganza ed espressività compositiva che hanno pochi pari, a meno di scomodare eminenze storiche quali Philip Glass, il sopracitato Steve Reich e il controverso Terry Riley. La forma espressiva elaborata con tape loops, phasing patterns – e comunque attraverso forme ripetitive come lenti ritmi armonici e processi acustici semplici e concettuali – evidenzia incondizionatamente l’affinità del ragazzo berlinese con questi tre guru del sound minimalista.

Ultimo ma non ultimo, assistiamo anche a lente frasi ultraterrene e quasi malinconiche, come nella struggente Unter – Tristana – Ambre, palesi espressioni di quanto Mr. Frahm sia legato soprattutto agli aspetti emozionali piuttosto che alla mera tecnica compositiva.

Un disco dell’anima che obbliga a un ascolto attivo e cognitivo, laddove l’emozione di sentire ancora l’eco del legno con il quale sono fatti i meccanismi dei pianoforti rende l’esperienza e la lettura del disco tremendamente vicina a ciò che definisco l’essenza del suono. L’odore del sudore e dell’alito del pubblico, che si percepisce distintamente in tutto il lavoro, corona magistralmente l’esperienza live: “è come se ci fosse un dare e ricevere reale e alla pari tra musicista e ascoltatore e mi fa rendere conto di quanto io dipenda dal mio pubblico,” afferma pacato Nils. O quanto noi, dopotutto, dipendiamo dal suo genio.

SPACES – NILS FRAHM
(Erased Tapes, 2013)

  1. An aborted beginning
  2. Says
  3. Said and done
  4. Went missing
  5. Familiar
  6. Improvisation for coughs and a cell phone
  7. Hammers
  8. For – Peter – Toilet brushes – More
  9. Over there, it’s raining
  10. Unter – Tristana – Ambre
  11. Ross’s harmonium

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