SPECIALE MOVIE REVIEW: “Aguirre, furore di Dio” di Werner Herzog

Recensione di Giovanni Sabatini

1560. Immaginate di essere sbarcati, dopo mesi di navigazione, nel Nuovo mondo. L’armatura pesante arranca tra la vegetazione sotto il sole cocente. L’umidità toglie il fiato, le mosche si appiccicano al volto, gli animali feroci attendono in agguato su ogni ramo, dietro ogni cespuglio, dentro ogni anfratto, in ogni pozza d’acqua stagnante o in movimento di cui la foresta amazzonica è piena. Non è finita. Avete trovato anche popolazioni indigene. Alcune, facili da soggiogare e “ammaestrate” secondo la Bibbia, fanno il lavoro sporco. Sono portantini, le schiene curve sotto le munizioni, tirano funi per far muovere il pesante cannone che segna a ogni giro di ruota la loro fine e quella della loro gente. Altre, non ancora rese schiave, si mimetizzano pericolosamente nella foresta. Le trappole sono ovunque. La natura sembra essere dalla loro parte. Insidie si celano all’ombra di possenti foglie di piante mai viste sul piccolo lembo di terra dal quale venite: la Spagna. Siete un conquistador, devoto alla corona e alla chiesa santissima, che marcia al fianco di Gonzalo Pizarro alla ricerca della ricchezza delle ricchezze: la città di El Dorado.

È questo lo spirito adatto per affrontare la visione di questo film del 1972, Aguirre, furore di Dio di Werner Herzog. La spedizione di Gonzalo Pizarro è storicamente ricordata come ricerca dell’inesistente. El Dorado è una città fittizia creata dagli Indios per sconfiggere l’avarizia febbricitante dei conquistadores. La vicenda ha inizio quasi al termine della ricerca; Pizarro, visto la situazione avversa, è costretto a interrompere la marcia. Mandando avanti un piccolo drappello per individuare più velocemente la tanto agognata meta, spera di poter porre fine all’enorme fatica sopportata da lui e dai suoi uomini. Il gruppo capitanato da Pedro de Ursúa dovrà tornare all’accampamento entro due settimane, dopo le quali i conquistadores inizieranno il loro lungo cammino, nella vergogna o nella gloria, per tornare in patria.

Fin qui è tutto in ordine: un film di stampo storico come altri ambientato al tempo della colonizzazione dell’America del sud. Ma questo non è un film come gli altri: Herzog racconta la follia dell’uomo e il suo rapporto con la natura. All’appello manca infatti il protagonista e motore della vicenda: Lope de Aguirre. Questo personaggio, interpretato dagli occhi schizzati di Klaus Kinski, è il centro nevralgico del racconto del regista tedesco. Aguirre viene nominato sottufficiale della nuova spedizione. Mentre i minuti scorrono inesorabili come le acque sulle quali le zattere cercano di rimanere a galla, ci si accorge sempre di più quanto il furore di Dio non si fermi davanti a niente e a nessuno. E quanto sia già un uomo morto che cammina.

Aguirre è ossessionato dal potere e proprio quando si prospetta un possibile ritorno a casa a mani vuote, senza aver nemmeno intravisto El Dorado, mette in catene il superiore e chi lo sostiene. Non contento si ribella anche alla corona di Spagna quando un membro della compagnia, un certo nobile Fernando de Guzmán, si autoproclama imperatore di El Dorado. Qui ci si accorge che siamo sull’orlo del precipizio. E come il fiume che non cambia il proprio corso, Aguirre va verso il fallimento, verso la rovina e con sé porta i conquistadores e gli schiavi indios a seguito.

La natura è l’altro elemento fondamentale. L’ambientazione spettacolare della foresta pluviale diventa tutt’uno con gli Indios che mettono in seria difficoltà la spedizione decimando i conquistadores e liberando gli schiavi. Le frecce, che più volte trafiggono a morte la carne dei colonizzatori assetati d’oro e potere, sembrano scagliate dagli alberi stessi. È la natura stessa che si scatena contro la follia di Aguirre e dei suoi compagni. Il fiume, i gorghi e le rapide non permettono vie di fuga. La natura matrigna decide la morte. È solo questione di tempo.

Herzog riesce a realizzare un’opera che affascina e fa riflettere. Aguirre, furore di Dio è un film che affronta tematiche universali e che dunque difficilmente non coinvolgono. Ha forse poco senso scrivere degli aspetti più tecnici: il contatto che ha lo stesso regista con la sua opera, la praticità, lo sforzo fisico nel realizzarla sembrano esulare da un ragionamento attento a tecnicismi. Non resta altro che sedersi sul divano e poi accorgersi di essere da tutt’altra parte. Non perdetevi.

Se io, Aguirre, voglio che gli uccelli cadano fulminati, gli uccelli devono cadere stecchiti dagli alberi. Sono il furore di Dio. La terra che io calpesto mi vede e trema.

CREDITS

  • Diretto, scritto e prodotto da Werner Herzog
  • Direttore della fotografia: Thomas Mauch
  • Musiche di Popol Vuh

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