RECENSIONE: Mattia Coletti – Moon

Recensione di Giovanni Sabatini

Mattia Coletti è un musicista italiano tra i più attivi degli ultimi dieci anni. Con la Wallace Records, etichetta fondata nel 1999 particolarmente attenta alla scena sperimentale, ha dato alla luce non solo a tutti i suoi dischi da solista ma anche diversi interessanti prodotti con gruppi come Leg leg, Sedia e Polvere, nel quale Coletti si affianca a Xabier Iriondo.

Il quinto lavoro solista di Mattia Coletti è stato registrato questa primavera 2014 e già adesso, in questo piovoso settembre, possiamo ascoltarlo nella sua interezza. Moon è costituito da sei tracce. Ventinove minuti dettati da una semplicità a volte disarmante capace di creare ambientazioni diverse attraverso una profonda ricerca nel suono. Si presenta come un lavoro fatto di sperimentazioni e forti commistioni tra musica acustica ed elettronica. Certamente la scelta non è una novità. Molti sono i gruppi e gli artisti che si sono cimentati imbracciando chitarre acustiche o classiche, strumenti base per il cantautore, ponendo tra loro e il pubblico mura tecnologiche composte da sintetizzatori, computer, campionatori, pedaliere di ogni tipo. In questo modo non voglio dire che Moon di Mattia Coletti sia l’ennesimo tentativo di emulare altri dischi ben riusciti, tutt’altro: Moon è un piccolo capolavoro e per piccolo ci si riferisce al breve tempo che dovremo dedicargli, troppo breve. Il disco, infatti, sembra finire troppo presto. Seguendo la musica si spera che Coletti continui con i suoi riff ridondanti che cullano, entrano nella testa ma sul finire si rimane con l’amaro in bocca. Per il resto l’ho detto: Moon è un capolavoro.

La ritmica dal sound elettronico, i giri in loop di chitarre classiche, acustiche ed elettriche, feedback e campioni vari, questi sono gli ingredienti di Coletti. Moon si apre con Molko, i loop di chitarre iniziano a intrecciarsi. L’artista, come se stesse vangando carbone nel focolaio della locomotiva per farla correre più veloce, aggiunge strumenti, suoni, altri loop. Il brano ha una sua evoluzione inarrestabile, si carica con una cassa tipicamente dance, chitarre distorte e fischi fino a saturarsi completamente. Degno di nota è anche il brano successivo, On the moon, che a un primo ascolto ricorda Acid food dei Mogwai accelerata follemente, affascina per la bellezza dei fade in e out delle campionature in stile Múm. Ruscelli, vegetazione e animali notturni vengono evocati in Big eye con un gusto decisamente folk, come se, su una sedia di legno, sotto la sua veranda Coletti s’improvvisasse sulla chitarra acustica. Nonostante i suoi cinque minuti, il brano è solamente un intervallo in Moon. Infatti già in coda alla traccia stessa si fa ritorno alla sperimentazione, alla psichedelia che si esprimono al massimo nella rotazione e rivoluzione del pianeta Marte. In Croma è ancora l’atmosfera folk a dare vita a un incipit che potrebbe uscire dalla testa di un maestro come José Gonzàlez. Come un’altalena si ritorna indietro. Ascoltiamo campioni, distorsioni, rumori e suoni guidati da una chitarra che lentamente si perdono in dissolvenza per lasciare spazio al fruscio puro. Con Speakers from a picture a chiudere il disco, Coletti sembra voglia terminare con un’idea per una colonna sonora, un omaggio ai The books di The lemon of pink con una maggiore dose di noise.

Moon è la luna, a volte distante 384 mila chilometri, a volte così vicino da non accorgerti che ti è già entrato dentro. È un disco che si fa desiderare, non lo si ama al primo ascolto, dal secondo si riconosce la padronanza e la creatività dell’artista. Al terzo è chiaro: Moon ha un alto potenziale, ma è qualcosa racchiuso in una scatola così piccola da non avere le dovute valvole di sfogo. Riuscirà a venir meno questa sensazione in live? Ci auguriamo di scoprirlo molto presto.

MOON – MATTIA COLETTI 

(Wallace Records/Bloody Sound Fucktory, 2014)

  1. Molko
  2. On the moon
  3. Big eye
  4. Marte
  5. Croma
  6. Speakers from a picture

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