INTERVISTE: CALYPSO CHAOS

di Gustavo Tagliaferri

Roma, zona Ostiense/Testaccio, venerdì 30 gennaio. All’interno del Planet si è svolta la presentazione della web-serie “Ice – Storie di (dis)ORDINARIA normalità”. Fin qui, apparentemente, nulla di eclatante, se non fosse per il fatto che tale serie è strettamente connessa con un tema come quello della vita del musicista, in studio e sul palco, ed è proprio il caso di Laura Avallone, Annalisa Baldi, Martina Bertini e Tamara Scacciati, ovvero le Calypso Chaos, che hanno anche concesso ai presenti un mini-live di tutto rispetto. Abbiamo avuto modo di scambiare due parole, tra progetti presenti e futuri e pro e contro della musica di oggi, proprio con la prima…

“Ice – Storie di (dis)ORDINARIA normalità” non è solo una web-serie, ma è la vostra web-serie, che ha nella persona di Laura Avallone l’unica portavoce. Ma soprattutto la peculiarità che incuriosisce maggiormente è il legame presente tra le relazioni amorose, sentimentali, legate anche all’omosessualità e al lesbismo, di diversi dei personaggi e le difficoltà e le soddisfazioni che comporta la lavorazione e promozione della propria musica, fuori e dentro gli studi di registrazione (nei video di presentazione è evidente il richiamo al Contestaccio, uno dei punti di incontro di maggiore rilievo nella dimensione live della Capitale). C’è da dire che una simile sinergia oggi è più che utopica, nell’era in cui il qualunquismo di stampo mocciano, se non tipico di certa movida fatta con lo stampino, è sempre dietro l’angolo.

Laura Avallone: Beh, sinceramente non mi sono mai posta il problema, nel senso, poco mi importa se il contesto in cui viviamo si muove sempre sugli stessi binari. E’ chiaro che ne sono profondamente consapevole e riconosco, come forse intendevi tu, molti atteggiamenti anche nell’ambito musicale, che assomigliano molto più a “pose” che ad onesti approcci intellettuali e vera passione per quello che si fa, tuttavia l’unica cosa di cui davvero mi preoccupo è di restare fedele a me stessa, alla mia identità e alla vera natura del progetto CalypsoChaos. E’ altrettanto vero che immaginare sinergie, per citarti, o sincere “condivisioni”, (come le chiamo io) tra musicisti rasenti l’utopia, il che è scandalosamente ridicolo se ci pensiamo un attimo, ma è così. Siamo molto più preoccupati di cercare la responsabilità dei nostri fallimenti o dei nostri bassi profili lontano da noi, piuttosto che fare gruppo e sviluppare insieme soluzioni o contesti utili al reciproco scopo di diffusione dei nostri progetti. Persino “Ice”, che nasce e si sviluppa come progetto collettivo, ha incontrato molte resistenze e veri e propri atteggiamenti snobbisti da parte degli addetti ai lavori e colleghi, che si sono volutamente tagliati fuori. Che devo dirti, pazienza! Come vedi, contrariamente ai loro pronostici, siamo andati avanti e troppo stiamo ancora per fare!

Si può trovare in qualche modo un’evoluzione di quelle che sono state le varie tappe del concetto di interazione, sviluppatosi prima attraverso i semplici contenuti addizionali sotto forma di tracce multimediali (in genere videoclip, occasionalmente minigiochi) ed in seguito con l’avvento di MySpace, Facebook e Twitter?

Laura Avallone: Certo, secondo me le web-series sono figlie della stessa madre della cultura social, fanno comunque parte di una nuova tendenza comunicativa che sta prendendo sempre più piede in svariati ambiti, dal cinematografico televisivo, al documentario e noi, abbiamo provato ad usarla a favore della musica emergente!

In quanto band completamente al femminile c’è da dire che la vostra ossatura è basata principalmente sul pop. Pop inteso non solo come genere, ma anche come stile di vita. Un fatto che al giorno d’oggi sembra quasi alieno agli occhi e alle orecchie dell’ascoltatore medio. Pensate che abbia influito particolarmente l’uso ed abuso che si è fatto del pop da parte del fenomeno dei talent, in seguito alla sua esplosione e contemporaneamente implosione (vedesi Sanremo, le radio) tale da fagocitarlo, lasciando agli occhi del prossimo il suo lato meno allettante?

Laura Avallone: Sfortunatamente temo di sì. Nell’immaginario collettivo, da circa dieci anni a questa parte, definire un genere “pop” è diventato quasi un dispregiativo, qualcosa di cui vergognarsi o a cui accostare di corsa aggettivi tipo indie pop o pop rock per farlo sembrare più “figo”. Il pop fine a sé stesso appartiene alla generazione talent e quindi il collegamento con il trash, se da una parte è presto fatto, dall’altra continua ad essere l’unico genere che vende e a cui anela anche chi millanta di fare altro, di fare indie (vedi come i presunti progetti indie si “poppizzano” alla velocità della luce al solo profumo, ad esempio, di Sanremo! Incoerenti loro, o forse certe dinamiche tirano fuori la vera natura di certe situazioni ambigue che in realtà vorrebbero solo essere pop senza averne il talento? Ai posteri l’ardua sentenza!) Per quanto mi riguarda continuerò a definirmi sempre ed orgogliosamente POP, anche se suoniamo in acustico e anche se alcune nostre sonorità non sono propriamente tali.

Ciò nonostante, ad un’attenta occhiata consola sapere che esistono ancora cantanti e gruppi intenti a dare un’ottica differente di quello che oggi dovrebbe essere il pop: andando a ritrovo verrebbe da pensare a Diego Mancino, UNA, Io?Drama, Neverflowers, Micaela Bruno. Credete nella rinascita di tale scena, in un periodo in cui, purtroppo, c’è frammentazione anche per quella che dovrebbe essere la scena indipendente?

Laura Avallone: Se non ci credessimo non staremmo qui a parlare, no? Ci crediamo e ci speriamo!

Che poi, in termini di frammentazioni, purtroppo, nemmeno i locali stessi fanno eccezione. E’ un momento fatto di alti e bassi, dove chi è concentrato maggiormente su determinate proposte, bene o male, sopravvive, mentre altri arrivano al punto di cancellare il proprio roseo passato spostandosi sulla musica da ballo, o peggio ancora dando spazio alle cover band. Mancanza di soldi o mancanza di coraggio?

Laura Avallone: Discorso delicato, articolato e complesso. Secondo me la radice del problema va cercata nella scarsa considerazione che ha l’italiano medio per la musica. In Italia la musica non è considerata un lavoro, non ci sono leggi chiare a riguardo per cui molti localari (e non solo loro) si sentono in diritto di approcciare ai musicisti come se fossero niente più niente meno che dei dilettanti in cerca di una serata da passare insieme. Di contro c’è l’invasione dei dilettanti (spesso anche professionisti ma che hanno atteggiamenti dilettantistici) che pur di suonare in qualche buco a San Lorenzo si svendono o suonano gratis, compromettendo tutta la categoria e non considerando che se forse gli dice bene e prendono almeno 50€ a testa, lo devono proprio a quelli che la testa non la abbassano e continuano a fare una guerra utile a tutti. Come in molti altre circostanze, anche in questo caso, la percentuale più alta di responsabilità va attribuita all’atteggiamento sbagliato degli artisti o presunti tali, mentre il restante è da dividere tra ignoranza degli imprenditori, furbetti del quartierino e localari che non hanno ancora capito che la musica dal vivo è un servizio “in più” e non un veicolo per aumentare il fatturato, quello devono essere in grado di farlo da soli altrimenti abbassassero le serrande che di sanguisughe ne abbiamo abbastanza! Sfruttare una programmazione live seria e gestita in maniera intelligente potrebbe essere la chiave di volta per sopravvivere alla crisi e non di meno un contributo culturale invidiabile che contribuirebbe da solo ad aumentare la reputazione di chi se ne fa carico (buona reputazione = clienti = soldi. Cattiva reputazione = passa parola negativo = serranda abbassata mooolto presto). Ma l’Italia si sa, è fatta di piccole e medie imprese che a mala pena sopravvivono, chiediamoci perché! Tanto siamo bravi solo a dare la colpa agli altri!

Avete mai pensato di rivolgervi a qualche nome di grande rilievo, sia esso un autore o un musicista, in fatto di appoggio o semplicemente per avere la giusta spinta a livello di ispirazione?

Laura Avallone: Ad essere sincera nì. Nel senso, ho sempre cercato un produttore artistico in grado di enfatizzare la natura musicale delle Calypso Chaos senza stravolgerla, di portarci ad un livello diverso e superiore rispetto a quello a cui siamo arrivate da sole ma non è affatto facile. Per quanto riguarda invece la “condivisione” con un altro nome di rilievo, come dici tu, ci ho provato svariate volte ma ho difficoltà proprio a mettermici in contatto. Se da una parte il web ci ha reso tutti più vicini, come contro misura, alcuni nomi più o meno noti, in realtà sono introvabili, altri intrattabili (e qui mi fermo!) per cui la mia risposta è no, ma non per mia mancanza di volontà, anzi! Condividere per me è la parola magica, ma a quanto pare continua a valere il detto “musicisti mai fratelli”. Almeno per me. E considerando che non sono minimamente in grado di giocarmi altre carte o di utilizzare strategie di avvicinamento del terzo tipo (chiamiamole così!) ho avuto la fortuna di confrontarmi con poche (ma decisamente buone!) persone. E non personaggi. Ci sto rimettendo? Probabile, ma non so essere diversa da così.

Da tempo voi avete in cantiere un album, “NessunaTeoriaDelChaos”, teoricamente finito, ma non ancora pubblicato. Forse per la necessità di farlo uscire una volta giunto il momento più opportuno?

Laura Avallone: Che senso ha fare uscire un disco o anche solo un singolo se nessuno ti conosce? Se non hai pronto un progetto promozionale adatto, anche il migliore dei progetti è destinato a fallire…e noi stiamo lavorando su quello! (“Ice”, ndr)

Ipotizziamo che un giorno le Calypso Chaos si risveglino decidendo di suonare qualcosa che si avvicina di più al rock o all’elettronica. Quanto può risultare controproducente una scelta del genere e quanto invece può giovare a quella che è l’anima del gruppo? In fin dei conti sempre di caos si parla…

Laura Avallone: Se fosse una naturale evoluzione del progetto, dubito che potrebbe mai essere controproducente. Se l’identità, soprattutto autorale è forte e riconoscibile, qual è il problema? Anzi, secondo me, solo il rispondere ad esigenze private di scrittura e mood sonoro può garantire credibilità ad un brano o ad un intero disco. A prescindere da dove ti porta un cambiamento, è sempre più difficile sbagliare se si resta fedeli a sé stessi e se si ha la coerenza come unico approccio alla composizione, piuttosto che seguire la moda del momento o copiare male (perché se copi bene va bene, ahahah!) qualcun altro.

Tra le tante scelte effettuate fino ad oggi, qual è la cosa di cui siete maggiormente fiere? E se doveste tornare indietro, sia in merito al nucleo della band che al di fuori, cosa non ripetereste?

Laura Avallone: Nulla in particolare, al massimo quello che rivorrei indietro è il tempo, ma purtroppo è impossibile. Anzi, sono sicura che tutto abbia un senso, compreso il tempo che io e la band abbiamo impiegato per arrivare fin qui.

Annalisa Baldi: Personalmente quello che mi rende particolarmente fiera quando penso al nostro gruppo, è il modo in cui viviamo e rappresentiamo la femminilità. Ci scontriamo spesso con stereotipi che ancora sono ben presenti nella nostra cultura, come quello che vede la donna lontana dal saper suonare e di essere consapevole degli aspetti tecnici del proprio strumento. Il nostro primo pensiero è sempre la musica e la sua qualità. Per quanto possibile proviamo sempre a sperimentare nuovi suoni e nuove idee. Che questo lo facciano quattro donne e per giunta esteticamente anche “presentabili” sembra quasi che sia un connubio impossibile ancora al giorno d’oggi. Se dovessi tornare indietro, sicuramente darei meno peso a chi ti da consigli cercando di cambiare il tuo sound o le tue idee, perché il lavoro che porta frutti è quello di cercare di valorizzare ciò che si è, con i pregi e difetti del caso, non farti diventare qualcosa di artificiale lontano dal proprio modo di essere.  

Tamara Scacciati: La scelta di cui sono più fiera è sempre aver assecondato la mia curiosità e avere sempre la sensazione di una bambina. Tornassi indietro rifarei tutto e anche qualcosa in più.

Avete mai pensato di entrare in contatto con la realtà situata fuori dallo stivale, anche solo per denotare l’evidente differenza che c’è in merito alla fruizione della musica? Se non addirittura per rafforzare un possibile lato anglosassone del progetto.

Laura Avallone: Ci piacerebbe di sicuro e per quello che abbiamo potuto lo abbiamo anche già fatto, andando a suonare ad un festival londinese due anni fa! Certo è che se la musica fosse il nostro unico lavoro di sicuro avremmo tempo e modo di viaggiare insieme, ma purtroppo, non potendoci dedicare al 100%  questo sogno per il momento sfuma. Chissà, nel frattempo magari cercheremo un po’ di Londra nel nostro prossimo produttore o collaboratore! Suggerimenti?


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