LIVE REPORT: Primavera Sound 2015 [giorno 3]

Live report di Claudio Delicato

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NOTA BENE
Questo è un live report in 3 puntate e 4 sconcertanti rivelazioni sui gruppi indie contemporanei, che verranno tramandate ai posteri per costituire i capisaldi dell’UmbertoPalazzesimo, la religione che seguiranno i nostri figli.

Foto di Dani Cantó

Alle cinque e mezza del 31 maggio, terzo e ultimo giorno del Primavera Sound 2015, mi posiziono su una delle comode poltrone dell’Auditori Rockdelux per il concerto degli Swans. Li ho già visti un paio di volte e so benissimo cosa mi aspetta, quindi mi presento munito di tappi per le orecchie, Lexotan e foto di gattini che giocano con gomitoli di lana. La setlist è più o meno quella a cui ci hanno abituato con le ultime esibizioni, mentre il live – con mia grande sorpresa – è meno loud del solito. Riesco a godere appieno delle loro meravigliose armonie senza che mi sanguinino le orecchie, e per la verità a un certo punto addirittura mi assopisco; non sono l’unico, per quanto dormire a un concerto degli Swans sia fattibile quanto aprire uno yogurt senza strappare neanche un angolo di carta argentata. Chissà, forse avevano messo il cloroformio negli amplificatori.

Lascio l’auditorium in sordina mentre Michael Gira è di spalle per evitare i suoi anatemi, e me ne vado all’area Primavera Pro a scroccare un bicchiere di vino e un paio di birre a poco prezzo, nel sorseggiare le quali mi imbatto negli Holy Holy al vicino palco H&M Pro. Il loro pop rock ben scritto e arrangiato mi incuriosisce e passo una buona mezz’ora in piacevole compagnia, prima di recarmi al Ray-Ban per il concerto di Tori Amos. L’avevo già vista a Roma anni fa e mi era piaciuta da morire, ma in questa circostanza ribadisco ciò che ho detto nel precedente live report a proposito di Belle and Sebastian: tutti bravi, tutto bello, ma non è la musica che voglio ascoltare a un festival.

Foto di Dani Cantó

Per questo poco dopo scappo al palco ATP ad aspettare trepidante gli Einstürzende Neubauten, o più semplicemente Fritzlanger, o ancora Hipsterführer per gli amici. Un gruppo che per vederlo è necessaria l’antitetanica, data l’impressionante quantità di oggetti metallici presenti sul palco. Blixa Bargeld e compagni, con l’ausilio di veri strumenti industriali quali motoseghe, tubi, bidoni e vasche da cui piovono coltelli (tutti magistralmente suonati dall’innovativa figura del COSISTA), creano in analogico tutti i suoni che i dj di oggi replicano annoiati con Reason nella loro cameretta a Williamsburg. Uno spettacolo unico nel suo genere, una performance d’impatto che rappresenta forse al meglio l’essenza di questa edizione del Primavera Sound, più che mai volta alla (ri)scoperta di gruppi non abbastanza conosciuti (nota bene: suoneranno il 25 giugno all’Eutropia Festival di Roma).

(Piccola nota a margine: come funziona il processo di composizione delle canzoni dei Fritzlanger? In sala prove uno di loro urla “ASPETTATE RAGA, HO UN’IDEA FANTASTICA, QUA CI STA BENISSIMO UNA MOTOSEGA!” e gli altri gli rispondono “GENIO!” tipo René Ferretti?)

Si sono fatte le 22:40 e dall’altra parte del Parc del Fòrum stanno suonando gli Interpol. Ancora estasiati dalla performance degli Hipsterführer, io e miei compagni di viaggio ci avviamo all’Heineken con lo sguardo svogliato dei ragazzini che devono fare i compiti di educazione tecnica. La loro performance non smentisce l’opinione che ho di loro: niente da dire sull’aspetto musicale (sono bravi, bravissimi), ma queste linee vocali fashion-depresse francamente non fanno per me, specie alla luce della

Terza sconcertante rivelazione sui gruppi indie contemporanei
TUTTI I VOCALIST DELLE BAND INDIPENDENTI DI OGGI CANTANO COME ROBERT SMITH O IAN CURTIS, MA SENZA UNO STRACCIO DEL LORO SENTIMENTO

Foto di Eric Pàmies

Verso la fine dell’esibizione la luce abbandona il palco e il 70 percento del carisma degli Interpol va a farsi fottere, tornando in grande stile solo quando l’energia elettrica ricomincia a fare il suo dovere, ennesima conferma della

Quarta sconcertante rivelazione sui gruppi indie contemporanei
TOLTE LE LUCI E I VISUAL, BUONA PARTE DELLE BAND INDIPENDENTI DI OGGI DIVENTANO IL NULLA

Terminato il concerto della formazione capitanata da Paul Banks decido di ascoltare qualche pezzo dei The Strokes, headliner della serata, nei confronti dei quali non nutro particolare interesse. Il concerto conferma le mie aspettative: quello di Julian Casablancas è un gruppo finito da tempo, ma tutto sommato nell’economia del Primavera Sound fa quello che gli si richiede, ovvero far divertire il pubblico con canzoni che resterebbero in testa a ogni aspirante Pete Doherty versione Cassia Bis che si rispetti.

Molto più interessanti le Babes in Toyland, che si esibiscono in contemporanea agli Strokes sul palco ATP con una performance di una potenza inaudita, confermando che questa edizione del Primavera è stata più che mai all’insegna delle donne, che fra Patti Smith, Sleater-Kinney e tUnE-yArDs (al cui clamoroso e disordinato concerto assisto poco dopo al palco Pitchfork) hanno dato filo da torcere ai loro colleghi col pisello.

Siamo alle battute conclusive e viene il turno degli Shellac, aficionados del festival nonché uno dei miei gruppi preferiti di sempre. La loro esibizione (sempre uguale e splendida da anni) è ottenebrata dai volumi impossibili del Pitchfork, in cui stanno suonando gli Health; dall’organizzazione non mi aspettavo un errore di calcolo così clamoroso, ma Steve Albini reagisce alle difficoltà con la classe e l’eleganza di un vero professionista, sottolineando il problema solo una volta (e in maniera più che mai garbata) e scegliendo l’unica soluzione possibile, ovvero quella di suonare tutti i pezzi a cannone e sacrificare i pochi che prevedono momenti di relativo silenzio, come l’attesissima The end of radio. Peccato.

Foto di Xarlene

Prima di abbandonare questa edizione 2015 ascolto un po’ dei bravissimi Thee Oh Sees e Caribou, che affolla il palco Ray-Ban a livelli mai visti prima.

Al di là dell’organizzazione come sempre impeccabile, la lineup di questa edizione del Primavera Sound ha certo visto nomi meno altisonanti rispetto all’anno scorso, ma forse proprio per questo mi è sembrata più fedele all’attitudine indie che da sempre contraddistingue il festival. Se nel 2014 i percorsi erano abbastanza obbligati, visti i grossi nomi in ballo, quest’anno c’erano più spazi che il pubblico poteva riempire a proprio piacimento, scoprendo gruppi che non aveva avuto l’occasione di approfondire prima, come se il Primavera fosse un amico che ti fa ascoltare qualche disco che non conosci offrendoti una birra e una cannetta d’erba.

Speaking of which, un personale ringraziamento va alle persone con cui ho seguito questo Primavera Sound 2015: Tobia, Teresa, Serena, Leonardo, Giulio, Margot e Chiara. Senza di voi il festival non sarebbe stato lo stesso, ed è sempre valsa la pena cercarci nella folla che si assiepava sotto ogni palco.

Claudio Delicato è anche su ciclofrenia.it™ (Facebook/Twitter)

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