LIVE REPORT: PET SHOP BOYS @ AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA [RM] – 25/06/15

Recensione di Antonio Iovane

PET SHOP BOYS: LA MACCHINA ELETTRONICA DEL TEMPO

Salgono sul palco indossando la corazza irsuta degli istrici e tu li osservi, dal basso, con un po’ di imbarazzo. Aggiungi un po’ di cattiveria e ti vengono in mente gli anziani costretti a scampanellare davanti ai centri commerciali americani vestiti da Babbo Natale. Ma poi ti ricordi che per una sera sei tornato negli anni ’80, baby. L’era in cui non dovevamo vergognarci di nulla.

Comunque Neil Tennant (frontman) e Chris Lowe (tastiere) vestiti da istrici cominciano sparandoti un trittico elettropop: Axis, One more chance e Opportunities. Su quest’ultima («Ciao Roma, è tanto che mancavamo, ma è bellissimo essere qui») il parterre si stacca dalla sedia e si lancia sotto il palco, posizione dalla quale assisterà al resto del concerto. Su Fugitive ecco arrivano due ballerini un po’ truzzi che hanno come copricapo due teste scheletriche di cavallo. Con West end girls arriva il primo sussulto di revival. Gli altri seguiranno in rapida sequenza dalla metà in poi: Rent, Domino dancing, Go west, tra le coreografie semplici ma efficaci dei due ballerini chiamati cavallo, e poi laser, luci stroboscopiche, mirror balls, occhiali a specchio. L’effetto non è però futuristico come trent’anni fa, quando potevano stupirci con effetti speciali. Ti sembra piuttosto di leggere un romanzo Urania. Non è più fantascienza ma il suo museo, con la guida che ti dice: «e si pensava che in futuro gli uomini avrebbero indossato questi ridicoli occhialini».

Musicalmente sai di non essere davanti alla storia, la storia l’hanno fatta altri, e anche se poi dici che Mick Jagger a 70 anni e rotti è patetico, sai pure che lui è la storia, e la storia vuol dire radici. Ma loro no, i Pet Shop Boys della storia sono piuttosto la parentesi crociana, sono una festa a tema (ehi, stasera lacca, Moncler e Pet Shop Boys a palla!), sono storia dell’effimero, del costume anzi: dei costumi che indossano in successione, dal lustrino alla giacca gialla. Ma il vero numero è quando si infilano sotto le lenzuola di due letti orizzontali dai quali spuntano solo i faccioni e sul resto vengono proiettati due corpi che si agitano inquieti. Ecco, c’è l’ironia, quella che segna il vero scarto coi polverosissimi anni ’70, l’ironia che salva tutti e tutto e Dio sa se abbiamo bisogno di salvezza, in quest’epoca cupa.

Così, avvolti dai suoni elettronici un po’ alla buona e canzoni dalle intuibili melodie, zompettiamo specchiandoci nel furore degli altri reduci: guardali coi cappellini a cono e le tute arancioni mentre intonano le protest songs un po’ ovattate tipo It’s a sin, ribelli sì, ma con juicio. E guardalo, il tastierista, con quell’aria da ma guarda te che me tocca fa’ e ti chiedi: ma c’è vita dentro Chris Lowe? Sta suonando davvero o fa finta? Ah, agghiacciante epoca del synth quando tutto era sfacciatamente falso, anzi, quando il falso era un valore tanto che spesso anche la voce di Tennant è in playback o sovrapposta alla base preregistrata.

Ma, ripetiamo, non c’è trucco o inganno, sono gli anni ’80, i più sfacciati della storia, quelli che avevano spostato i confini. Fino a quel giro di boa la grande conquista era stata la libertà di esprimere qualsiasi valore volessimo. Adesso eravamo liberi di esprimere anche il nulla e chiunque poteva suonare (altro che il punk) o cantare (vedi Tennant e il suo naso spostato sul diaframma).

Dopo Vocal e i coriandoli e il fumo (non quello da canna anni ’70 ma quello da disco anni ’80) i due tamarri ti salutano e te ne torni a casa. Pieno di lacca e allegria e domandandoti: ma eravamo davvero così?

SCALETTA

Axis
One More Chance / A Face Like That
Opportunities (Let’s Make Lots of Money)
Fugitive
Integral
I Wouldn’t Normally Do This Kind of Thing
Suburbia
I’m Not Scared
Fluorescent
West End Girls
Somewhere
Leaving
Thursday
Love Etc.
I Get Excited (You Get Excited Too)
Rent
It’s a Sin
Domino Dancing
Always on My Mind
Go West
Vocal

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