LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: PCP (Piano Che Piove)

di Gianluca Clerici

Spesso il gioco è più facile di quello che si pensa. Spesso è la semplicità la chiave di tutto. Soprattutto oggi che siamo in perenne ricerca dell’originalità. Appannaggio e contentino di chi crede che la trasgressione sia l’arma vincente. I PCP invece fanno della semplicità il vero punto di forza. Forse troppo (sfoggiando un video un po’ ingenuo). Ma di sicuro il disco ben suonato, ben prodotto, non ha niente da invidiare. Sarà anche la loro maturità artistica e professionale. Il disco “In viaggio con Alice” accompagna e lascia emozioni che dovremmo tornare a pretendere dalla bella canzone d’autore italiana. Il loro punto di vista on Just Kids Society.

Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo voi qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Non è uno solo, è un insieme di elementi fra cui spicca sicuramente il problema di garantirsi un reddito. Chi, per mille motivi, fra cui innanzitutto la qualità del prodotto e la professionalità, non ha alle spalle una produzione, deve per forza trovare altrove di che vivere, fosse anche nell’insegnamento musicale.

Crisi del disco e crisi culturale. A chi dareste la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
La crisi del disco è un fatto legato all’evoluzione della tecnologia e dei sistemi di comunicazione, queste sono trasformazioni che avvengono e coinvolgono chiunque a livello globale. Non è colpa di nessuno. In vent’anni sono sparite le pellicole, i tavoli da disegno, le macchine da scrivere i videoregistratori e chissà quante altre cose. È normale. Diverso è il discorso sulla cultura, ma qui si apre un mondo su un discorso difficile. Diciamo che tendenzialmente le società occidentali sono proiettate su una china di decadenza economica e questo mette in moto una serie di processi che hanno come denominatore comune la tendenza a chiudersi a riccio per non perdere quello che si ha. Il risvolto culturale è la chiusura verso il nuovo, e per nuovo si intende anche semplicemente qualcosa che ti vive di fianco ma che non fa parte delle tue frequentazioni abituali. Siamo conservatori per paura, per età, perché rischiare su cose nuove non è detto che ti garantisca il rientro di ciò che investi e, alla fine, per abitudine. D’altra parte i periodi di decadenza non sono mai stati forieri di vivacità culturale, anche perché, quando i problemi economici e di sicurezza della maggioranza delle persone aumentano, ravvivare la tendenza ad approfondire e a capire, che sono prerogative tipiche della cultura, potrebbe creare qualche problema a chi decide quanto e a chi. Si persegue la conoscenza tecnica, specifica, perché serve. La cultura, decisamente meno.

Secondo voi l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
Entrambe le cose, l’informazione insegue sicuramente il pubblico perché ce n’è talmente tanta che nessuno può permettersi di non farlo, e poi propone ciò che sceglie ed è in grado di proporre, coerentemente con le proprie tendenze, le proprie capacità, i propri progetti.

La vostra musica, un pop intriso di canzone d’autore. Si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Quelli come noi che, almeno per ora, si autoproducono e promuovono la propria musica entro gli orizzonti che riescono a raggiungere, sono fuori dalle logiche del mercato con la M maiuscola. Il senso sta tutto nel proseguire a fare una cosa che ci piace talmente tanto da continuare a farla nonostante il tempo che non c’è mai, i soldi che ce ne vorrebbero di più, le tranquillità familiari che ogni tanto traballano…ecc…ecc…

Il vostro esordio certamente non rispecchia l’ingenuità della vostra carriera. Tuttavia siamo curiosi del vostro punto di vista: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Trovare spazio, avere la possibilità di raggiungere più gente. Per chi fa musica propria è difficile farsi ascoltare, sempre per quel discorso che siamo conservatori e vince sempre la tendenza a sentire cose già conosciute rispetto alla curiosità di sapere cosa c’è dietro quel nome, quelle facce. Poi c’è il discorso dei soldi, ma per una volta viene in secondo piano.

E se aveste modo di risolvere questo problema, pensiate che basti? Nel vostro caso specifico?
Trovare più spazio cambierebbe parecchio le cose. Magari anche in peggio, perché potresti essere più criticato di quanto tu non lo sia ora, ma sarebbe tutta vita.

Finito il concerto dei PCP: secondo voi il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Tom Waits? Ivano Fossati? Sting? Dipende da chi di noi metti a parlare col fonico…

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