LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: AMELIE

di Gianluca Clerici

Perchè delle volte anche il POP in rosa, tramandato da generazioni di contaminatori di tutto il mondo e di tutte le epoche, può essere visionario al pari delle saccenti suite progressive. E quello di Amelie lo è, dolcemente e su più fronti. Un disco che conosciamo solo ora nonostante sia trascorso tanto dalla sua uscita. Si intitola “Il Profumo di un’Era” e per capirlo grandemente si deve porre attenzione al singolo “Messaggi” che gira in questo periodo. Morbida ballata, confessioni, estensioni di scenari che fluttuano…e poi l’orchestrazione che si regge a due passi dal terreno come fosse una leggerissima nebbia. E poi le parole. Perchè Amelie è una cantautrice. E noi la lasciamo fare…ecco il suo punto di vista alle domande di Just Kids Magazine:

Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Non è questione di puntare il dito secondo me. Si scrive, si canta e si suona per comunicare. Poi se questa Arte diventa anche la prima occupazione ben venga, non penso faccia schifo a nessuno. Bisogna però capire cosa si intende quando si pensa alla Musica come lavoro. Io per esempio vivo di musica. È la mia professione principale; anni fa mi sono licenziata da un posto fisso per fare la cosa per la quale mi sentivo in assoluto più portata (insegno canto, mi occupo di consulenze vocali, lavoro a pre produzioni, faccio turni in studio ecc ecc). Sono più povera ma più realizzata. Se ti riferisci alla musica come progetto inedito, ovviamente non posso permettermi di mangiare con le vendite dei miei dischi. Ma avere come unico scopo quello di rendere la propria musica originale fonte principale di sostentamento non deve diventare né una ossessione né l’unico obiettivo.

Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Potrei citarti il pensiero “distopico” di Orwell. Io penso che il governo, gli organi di informazione, di diffusione della cultura e dell’Arte (che impongono prepotentemente usi e costumi) .. abbiano un compito importantissimo. Comandano loro. Il pubblico ha solo l’elasticità ad adeguarsi alle tendenze imposte. Pertanto, quando trovi una offerta poco eterogenea, di scarso valore culturale, di poco spessore, ecco diffondersi e riflettersi un processo di omologazione preoccupante. Dinnanzi ad una offerta sempre uguale a se stessa, anche la domanda ne risente.

Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
La seconda. Negli anni sessanta/settanta per esempio in televisione venivano offerti programmi di grandissimo valore culturale. Oggi il massimo sono i talent o il grande fratello. Non penso che questo sia dovuto ad un rincitrullimento delle nuove generazioni. L’Arte è poco rispettata in generale. Sono stati dettati (negli ultimi 20 anni) usi e costumi di poco valore. La società ormai è fondata sulle apparenze, sul gusto del trash e sulla mediocrità e sulla totale assenza di meritocrazia. Per forza. L’informazione ha sofferto di un preciso monopolio per troppo tempo.

La tua musica, un elegantissimo pop d’autore. Si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Diciamo che la mia musica cerca un senso in se stessa. Poi se trova posto nel mercato o altro ben venga. Ma non mi pongo in maniera morbosa il problema. Spero solo di riuscire a diffonderla con tutti i mezzi alternativi che ho a disposizione per raggiungere persone curiose. Fortunatamente dal processo di omologazione qualcuno si salva e non si accontenta di ciò che passa in radio o tv. Qualcuno curioso nell’ascoltare cose diverse e nuove c’è sempre. Lunga vita alla nicchia….che poi rappresenta il vero cuore della creatività di questo Paese.

Tu che ormai sei sulla scena da diversi anni. La vera grande difficoltà di questo mestiere?
Prima di tutto le etichette, i pregiudizi, i paletti imposti qua e la, la mancanza di apertura che (a mio umile parere) dominano ancora in Italia. E poi i muri impossibili da abbattere tra panorama indipendente, autoproduzione e mainstream. Come accennavo prima, aggiungo la mancanza di rispetto per chi fa musica di lavoro. Sappiamo bene che chi ha scritto sulla carta di identità “musicista” viene ancora guardato come fosse un alieno. Poi se sei donna….ancora peggio. Si perde il conto delle richieste infinite di prestazioni gratuite…

E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti? Nel tuo caso specifico?
Si. Credo di si. Tutti avrebbero maggiori opportunità.

Finito il concerto di AMELIE: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Mi piacerebbe mettesse l’ultimo album capolavoro dei Goldfrapp: “Tales of us”.

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