INTERVISTE: NON GIOVANNI

Ho deciso di restare in Italia” (Irma Records) è il disco d’esordio di Giovanni Santese, in arte e in musica Non Giovanni. Un giovane ed originale cantautore pugliese, che in questo album rivendica tutta la sua italianità e riscrive a modo suo i connotati dell’etichetta di “cantautore”. Nel disco, che vede la produzione artistica di Amerigo Verardi, canta e suona la chitarra acustica, insieme a Franz Lenti (sintetizzatori, piano, loops), Alessandro Manigrasso (basso) e Giacomo Abatematteo (batteria, percussioni, cori).

Di Francesca Amodio

L’affermazione che dà il titolo al tuo album d’esordio, “Ho deciso di restare in Italia”, appare quasi in controtendenza in un’epoca in cui, anche musicalmente, molti vogliono scappare dal belpaese: scelta di coraggio o un bisogno sentito, il tuo?
È senza dubbio un bisogno sentito. Coraggioso, forse, ma la mia è una dichiarazione di intenti chiara e limpida, senza affermare nulla di eroico o contrastante: non sono certo contro l’espatrio, ecco. Ma per quanto i miei ascolti possano essere variegati, ho sempre avuto la passione per il cantautorato italiano, pertanto per me è stato assolutamente naturale esprimermi nella mia lingua madre. Amo scrivere in italiano, amo il mio Paese, come dico anche in una canzone, e non mi piacerebbe per nulla rinunciare a questa possibilità.

Il tuo nome d’arte è la negazione del tuo nome di battesimo: perché?
Non Giovanni nasce da un gioco di parole con “Don Giovanni”. All’inizio, ovviamente, non aveva assolutamente senso, poi in realtà me ne sono venuti in mente tanti, come per esempio il senso di negazione proprio del personaggio di Don Giovanni, rappresentazione non solo dello “sciupafemmine”, ma anche della libertà. E poi rimanda sicuramente a tutto quello che non sono al di fuori della musica, cioè il Giovanni, per così dire, “normale”, che magari è costretto a lavorare altrove quando non suona!

Una collaborazione possibile che ti piacerebbe fare e una, oramai impossibile, per cui saresti voluto nascere prima?
Tra le possibili direi Dimartino, soprattutto per il modo particolare in cui scrive i testi, che mi piace molto. Tra le impossibili di sicuro Rino Gaetano, cantante che ho sempre ammirato e a cui oggigiorno penso spesso, perché penso a ciò che avrebbe potuto dire uno come lui dei tempi complessi in cui ora ci troviamo a vivere. Ritengo che manchi attualmente in Italia una figura musicale come la sua.

Hai partecipato al Primo Maggio di Taranto, un palco importante per tutti ma di sicuro un po’ di più per chi in quella terra ci è nato: cosa è significato per te, al di là della musica?
In quell’occasione per me c’è stato appunto questo duplice aspetto: quello artistico, che per un musicista giovane come me è un’esperienza grandiosa, cioè condividere il palco con artisti così importanti, che lo sono stati anche per la mia formazione musicale. Dall’altra parte c’è la valenza che questo evento ha per la città: quel giorno a Taranto sembrava davvero di respirare un’aria particolare, diversa. È molto emozionante vedere così tante persone riunite sotto lo stesso ideale, con l’intento di voler cambiare una situazione difficile come quella che la città vive ora sotto tanti punti di vista. In qualche modo ci sentivamo tutti motori di un cambiamento che speriamo avvenga il più rapidamente possibile.

Il disco si fregia della produzione artistica di Amerigo Verardi (Baustelle, Virginiana Miller). Com’è nato questo incontro?
Amerigo si è trasferito qui al sud da qualche anno, quindi anche a livello logistico per me è stato abbastanza facile incontrarlo. Quando ho deciso di inviargli i miei pezzi lui li ha apprezzati subito, ma allo stesso tempo ha frenato la mia voglia di far uscire immediatamente l’album e mi ha spronato a continuare a scrivere. Quindi per me è stata una guida in questo senso, oltre ad essere diventato poi un vero amico, una presenza fondamentale per la realizzazione del disco. Soprattutto perché, come ogni produttore dovrebbe fare, è riuscito a tirare fuori il meglio di me senza stravolgere con invadenza la mia creatività. Una persona discreta, ma sempre presente.

Sei autore di tutti i tuoi testi e di tutte le musiche, il che ti varrebbe l’etichetta di “cantautore”. In Italia però quando si sente questa parola viene quasi automatico il rimando a una certa scuola cantautorale appartenuta ormai a qualche decennio fa, e oggi dire “giovane cantautore” sembra quasi un ossimoro. Tu ti ritrovi in questa definizione?
Onestamente mi ritrovo benissimo nella connotazione di cantautore, è una parola che mi è sempre piaciuta, nonostante alle volte magari qualcuno la prenda come un qualcosa che sa di “vecchio”. Io sono sempre stato “autosufficiente”, musicalmente parlando, nel senso che ho sempre scritto i miei testi e le mie musiche da solo, quindi se è quella la parola che descrive tutto ciò, a me piace, non vedo perché ci si debba ravvisare qualcosa di negativo. Poi ovviamente sul palco quando mi esibisco mi piace condividere la mia musica con la band, ma nessun pregiudizio contro l’etichetta di “cantautore”. Mi va più che bene!

nongiovlive

La grafica del disco è ispirata al film di Alberto SordiDove vai in vacanza”. L’influenza del cinema sembra riflettersi anche nella tua scrittura testuale, è così?
Non è la prima volta che qualcuno lo nota, ma sinceramente non è una cosa che faccio volontariamente, o in maniera conscia. Mi piace il cinema e lo guardo moltissimo, ma non con l’intenzione di farmi ispirare per la stesura del testo di una mia canzone. Poi alle volte è vero che mi viene da scrivere per immagini, per così dire, ma non è un approccio alla scrittura studiato o ponderato. Penso sia un’attitudine molto naturale e spontanea, la mia.

Nella title-track, che chiude il disco, canti: “Si sta come d’inverno le foglie sul ramo, però non ce ne andiamo, e si parlerà a lungo di noi come specie d’eroi”. E’ davvero un atto di coraggio rimanere in Italia a fare musica?
Beh di sicuro è faticoso, più che coraggioso. Ci vuole tanta forza e tanta motivazione, unite alla passione. Ci vuole inoltre una grande dose di pazienza, di costanza. Il coraggio in questo caso è una conseguenza del fatto di voler seguire le proprie passioni e di provare a farlo nel Paese in cui si è cresciuti, materialmente e musicalmente parlando. È una scelta insomma, che ti fa portare avanti solo l’amore per la musica.

Se Non Giovanni si dovesse autorecensire in tre aggettivi legati al disco, quali sarebbero?
Ironico, introspettivo e italiano.

Non Giovanni sul web:
Sito ufficialePagina Facebook

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