INTERVISTE: DADA CIRCUS

di Francesca Amodio / ph: Simona Isacchini

I Dada Circus, alias Fabrizio Candidi (batteria), David Denora (basso), Daniele Di Paolo e Ezio Bombelli (chitarre), Simone Arcangeli (tromba, flicorno) e Samuele Pasquali (voce), esordiscono con “Lato del cerchio”, targato Goodfellas, lavoro in cui la carismatica voce di Pasquali, supportata da una band squisitamente all’altezza, mette in musica dieci storie di vita vissuta che attraversano la sfera completa dei sentimenti, dall’ironia tragica alla spensieratezza, dal disincanto alla tristezza. Un disco dinamico e creativo, originale e ben riuscito negli intenti.

“Lato del cerchio” è un disco pieno di vitalità, quasi un inno alla gioia. Che ne pensate invece della musica di protesta?
Fondamentalmente pensiamo che sia stupido lamentarsi attraverso la musica, a prescindere. Senza dubbio siamo convinti che nel momento in cui un musicista sale su un palco sia moralmente tenuto a sentirsi addosso un minimo di responsabilità, e che quindi, in definitiva, non dovrebbe dire stupidaggini. Allo stesso tempo pensiamo sia sbagliata ogni forma di qualunquismo, il non prendere posizione: semplicemente bisognerebbe descrivere le cose, quello che accade di fronte ai nostri occhi. In molti dei nostri brani ci sono delle “lamentele”, che però, se analizzate, altro non sono che le nostre reazioni alle cose che non ci piacciono. La società ci colpisce prima come persone e solo poi come musicisti, pertanto non si può restare indifferenti.

Qual è la vostra opinione riguardo il finanziamento dei dischi tramite crowdfunding?
Noi personalmente non ne abbiamo mai usufruito e sinceramente pensiamo che non sia quello il modo di supportare una band. La si supporta acquistando il disco, la t-shirt, la spilletta, o ancor meglio venendo a sentire i concerti, quindi acquistando il biglietto, ma non tramite il crowdfunding, per come la vediamo noi. Proprio per il fatto di cui parlavamo prima, ovvero di essere persone prima che musicisti, in certi casi la vediamo proprio come un’elemosina. In altri no, ovviamente ora si generalizza ma ogni situazione poi è diversa, ci sono molte band che fanno musica alternativa e che solo tramite questa modalità riescono a sostenersi, dando sempre una ricompensa in cambio tra l’altro, e quindi va bene. Per ciò che ci riguarda abbiamo sempre fatto tutto con le nostre forze, anche economicamente parlando, e non ne nascondiamo la fatica. Anche questa è una scelta, però.

Essere indipendenti da un discografico o dai canali televisivi, è una scelta?
Sinceramente noi non guardiamo molta televisione, quindi sì, in pratica ne siamo indipendenti per forza. Per quanto riguarda la scelta dei canali tradizionali della discografia e dei mass media in generale, per ora ne abbiamo fatto a meno, ma per il futuro non crediamo di continuare a poter fare musica senza. È chiaro che l’obiettivo di una band sia quello di far arrivare la propria musica a più orecchie possibili, attraverso i mezzi che solo un discografico può avere, di certo noi da soli non bastiamo. Poi magari dopo vent’anni di gavetta lo manderemo a quel paese.

Fareste mai un disco in inglese?
Attualmente no. Noi cantiamo in italiano perché viviamo in Italia e ci viene naturale cantare nella lingua in cui parliamo. Nessuna questione di appartenenza, di amore per la lingua o quant’altro; magari se fossimo in Inghilterra canteremmo in inglese, anche se la maggior parte di noi ha un livello di inglese da seconda elementare. A differenza di tanti altri musicisti non siamo così influenzati dalla musica british o americana, forse anche per questo non sentiamo il bisogno di esprimerci in una lingua che non sia la nostra. Per ora ci piacciamo così, insomma, ma mai dire mai nella vita, soprattutto in quella di un musicista!

IL TOUR
08/05 @ Monk, Roma
04/06 @ Meeting del mare, Marina di Camerota (Sa)

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