RECENSIONE: SPAZIO – LEO PARI

di Clara Todaro

Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore. Chiedo scusa se scomodo Calvino, ma le sue sono le prime parole che mi vengono in mente quando vorrei spiegare ad alcuni cosa sia davvero la musica pop.

Prendete ad esempio un musicista della scena indie romana come Leo Pari, che il 21 aprile scorso ha pubblicato Spazio. Per questo quarto album intanto è schierata una nuova formazione, che vede l’ingresso di Simone de Filippis alle tastiere e in cui Leo Pari stesso abbandona chitarra acustica e armonica a bocca – tanto care al suo periodo folk – e si divide tra un pedale e l’altro. Anche se – confessa – preferirebbe concentrarsi solo sul piano elettrico. La sperimentazione sincera  – merito anche della collaborazione di Sante Rutigliano – è nel lavoro certosino degli arrangiamenti e nella cura di sonorità ricercate, magari con qualche sbirciata al maestro Battiato. Tutti suoni che, eppure, dell’immediatezza e della genuinità mantengono sempre quanto basta per considerarli spontanei.

Nei testi ci sono pensieri, sempre diversi, che giocano e suonano bene tra loro. Ci sono le parole – queste sconosciute – a volte affastellate come il buon vecchio Rino insegnava. Ricordate la zappa il tridente il rastrello la forca l’aratro il falcetto il crivello la vanga? Beh, anche in Spazio ci sono degli Arnesi, ma servono per la manutenzione dell’amore. Siccome poi è pure un po’ vero che i cantautori sono i depuratori della società, essi restituiscono al mondo una lettura talvolta dissacrante di esso, allora ecco che appare anche una povera Maria piena di graffi, e i lavori e le donne di una volta nell’elenco dei non ci sono più.

Un po’ alla Abbracciala, abbracciali, abbracciati è invece Bacia brucia ama usa, che apre l’album e ti getta dritto nello spazio distopico. Si delinea subito un’atmosfera musicale che poi permea un po’ tutte le tracce, dove i falsetti accennati e tanto altro sanno di Battisti. Mentre i sintetizzatori e gli strumenti – tutti rigorosamente elettronici – trovano la loro massima espressione nel punto forse più emblematico dell’album con I piccoli segreti degli uomini e Werther.

Sembra di vederla la maturazione di Leo Pari, in tutta la sua escalation: dal rap di Lettera al futuro, al folk-rock di Rèsina e Sirèna, fino alla consacrazione pop di Spazio. Con la più seria accezione di popular, quest’ultimo è l’album che mostra senz’altro una completezza maggiore, grazie alla continua ricerca musicale. Così se a volte viene da chiedersi perché anche i cantautori di una volta non ci sono più, altre volte invece tiriamo un sospiro di sollievo. Se c’è chi ha la brillante abilità di stare sul pezzo e creare musica al passo coi tempi, seppur riavvolgendo un po’ il nastro sugli anni ‘80 dell’infanzia.

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