SBEVACCHIANDO PESSIMO VINO: TOR PIGNATTARA

Sei del mattino di Paolo Battista

L’alba è scivolata via da non molto e una leggera nebbiolina sfila via a ruota dietro le macchinazioni aurorali che con rossastre  pennellate danno unità ai contorni. Quando non dormo afflitto dal silenzio notturno e dall’erranza scombinata dei pensieri sono solito vestirmi con le prime cose che trovo sdraiate per terra e senza neanche ripulirmi la faccia scendo da casa abbattuto e verticale per raggiungere uno dei miei immancabili appuntamenti mattutini ‘cor mejo caffè de la capitale’. Sono anni che il Baffo resiste ai raid di accalappiatori cinesi o indiani che ai lati del lungo fiume d’asfalto di Via di Tor Pignattara hanno occupato tutte le postazioni affittando e comprando la maggior parte dei locali adibiti alla vendita delle solite cazzate indispensabili all’umanità. Posti che vendono tutto sotto prezzo: dalla frutta impolverata in mostra sui marciapiedi, ai capi d’abbigliamento griffati da qualche “Pasquale” disperato e sottopagato, agli ormai quasi mitici “ Phonecenter “, che crescono come funghi, con i loro computer sgangherati e il loro puzzo d’umanità.
Solo il Baffo tiene duro col suo piccolo baretto dall’ insegna fucsia stile anni 80, CAFFE’ HAWAY.  E’ ancora lì, a due passi dall’incrocio tra via di Tor Pignattara appunto e via Casilina che per Acqua Bulicante ti porta fino alla stazione Tiburtina. Appena metto piede nel bar un John Wayne dalla testa gigante spunta da una macchinetta sparando una raffica di colpi con la sua pistola ultrarumorosa. Mi guardo intorno e faccio caso per la prima volta a tutte le foto esposte sulle pareti: Alberto Sordi in Un americano a Roma, Totò in Guardie e ladri, la bellissima Anna Magnani e appiccicata su una costola del frigorifero una bella fotografia in b/n del quartiere, dovevano essere gli anni settanta e al posto delle auto sulla via c’è un mercato popolare che da anni non esiste più.

cannone torpignaDietro al bancone invece, accanto ad una fila di bottiglie che stanno tutto il giorno a specchiarsi, penzolano un paio di guantoni neri, ricordo di gioventù del Baffo e sopra la mensola, sulla parete opposta al grande specchio pieno di fotografie con alcuni personaggi della televisione, spuntano una serie di folletti dal naso lungo e rosso che guardano i clienti con occhi ludici e irriverenti. Un grande orologio argentato troneggia sulla cassa e dice che già alle sei di mattina dal Baffo si vedono dai primi sfortunati lavoratori che aspettano il caporale di turno per chissà quale cantiere a  quelli che si svegliano sempre all’alba per mantenere una famiglia con lavori da ufficio dall’altra parte della città a quelli come me viziati dall’insonnia e spiaccicati sul bancone con il volto tra le mani per paura d’addormentarsi (e che un lavoro non ce l’hanno) a quelli che srotolano nelle macchinette già da un’ora per tris di pistole che non arriveranno mai a quelli che si riscaldano con il primo di una serie di grappini belli forti a quelli che hanno finito il latte che a quest’ora solo dal Baffo  puoi trovare.

Italiani e stranieri, uomini e donne, nella stessa nebbia, umidità, malessere, stordimento, nella stessa arena: per tutti lo stesso inizio di giornata. Un mondo in fermento che si sfrega le mani che polemizza che gusta caffè espresso senza parlare, che sogghigna per una parola di troppo, che respira, che vive anche se a fatica, e allora prendo il giornale e leggo le prime notizie a voce alta ( ma non troppo ) e le prime battutine sprezzanti antigoverno da parte di chi ascolta sono per quei porci che parlano di crisi oppure per quelli che stanno in piazza e non lavorano o i kamikaze che si lasciano morire, fino alle previsioni del tempo: e piove, e fa freddo, ma nun vedi er sole, sbotta un muratore romano; allora Baffo spara: nun ce credo a ste cazzate e poi li dovrebbero arrestà tutti quelli là: quelli ‘n giacca e cravatta, o quell’artri: quelli co le gonne nere celati dietro ‘na croce de fero, o quelli chiusi ar Parlamento, e come un prestigiatore fa sparire due tazzine sporche per i prossimi caffè fumanti e aromatizzati che sbuffano impazienti.

Quell’odore s’insinua nei polmoni e gli occhi si spalancano non appena le labbra si bagnano ‘cor caffè più bbono de Roma’: prima ancora di salire il piccolo scalino per entrare nel bar se ne sente l’aroma: un respiro di caffeina per sbarrare gli occhi obliqui di sonno. Intanto si odono gli sbuffi delle altre saracinesche che stanno per aprire, gli ultimi sopravvissuti: il farmacista, il tabaccaio, il fornaio, il Next Age: gli ultimi superstiti; e poi calzini e mutande sul banco ambulante, cd, incensi, orecchini, occhiali, fiori di plastica, anelli di ferro, mele col buco, cavi elettrici e altre inutili cianfrusaglie, e poi un’autoambulanza piange già alle sei del mattino e poi dopo il mio secondo caffè con sigaretta mi avvio verso la sfrenata vitalità della mia strada fingendo un sorriso di saluto corrisposto da altri sorrisi finti di saluto e dispersione, ma in realtà ognuno annega nei propri casini.

Oggi non piove e una sbornia di luce illumina un altro giorno del cazzo: fumo un’altra sigaretta e una volta in casa accendo Parklife: scrivo due righe, poi cerco di dormire pensando che il Baffo è ancora lì, e sarà lì anche domattina, e domani l’altro e l’altro ancora. Il Baffo resiste, e sono contento. Poesia è bere un caffè decente alle sei del mattino!

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