LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: ELEFANTI

di Gianluca Clerici

Underground di nuove produzioni, di autoproduzioni, di ricercati scenari di piccoli centri. Bergamo in fondo non è che un enorme paese e ci vuol poco per consumarlo in lungo e in largo. Questo degli Elefanti è un esordio in duo, come nelle più tipiche delle line-up: chitarra elettrica + voce distorta (sempre) da una parte…batteria dall’altra. I suoni secchi di questi Elefanti sottolineano la passione e l’energia ma forse trasudano esordio…proprio così…fresco andamento di ballad pop rock italiane e contaminate d’istinto. C’è tutto e anche di più. Uno di quei dischi che devi lasciare parlare a voce alta senza che ti sfiori la mente il volerli etichettare. Onori e oneri a chi si mette in gioco. Bellissime sensazioni di libertà…sentiamo qual è il loro punto di vista alle consuete domande di Just Kids Society:

Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo voi qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Purtroppo, il conto in banca! Tutti i musicisti, quelli veri, vorrebbero vivere della loro musica… e quando parliamo di “vivere” intendiamo la possibilità di avere una vita dignitosa, da “stipendiato”… non da nababbo. Ma il connubio “passione=lavoro” è diventato un concetto talmente elitario da domandarsi se esista ancora realmente. Il mondo della musica si è trasformato in una macchina da soldi per quei pochi soliti che ne sono a capo e che decidono di che morte debbano morite tutti. Creano bisogni nel consumatore e lo inebetiscono con prodotti dozzinali a basso costo ed alti rendimenti: un discorso aziendalistico? Può essere, perché questo è quello che vediamo oggi.
Nel panorama “non famoso” ci sono tante proposte valide che meriterebbero di calcare palchi prestigiosi molto più di chi li “occupa” oggi, ma che non hanno avuto la fortuna di “conoscere” le persone giuste.

Crisi del disco e crisi culturale. A chi dareste la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
La crisi del disco è un fenomeno conseguente al processo innovativo: è cambiato il paradigma con il quale la gente si approccia all’acquisto della musica. Oggi si acquista in modo digitale (e qui potremmo scrivere pagine sulla qualità finale del prodotto) ed era prevedibile che il supporto fisico avrebbe ceduto il passo al più “facile” Mp3. Chissà cosa succederà domani quando il digitale sarà vetusto… Si chiama evoluzione. È la crisi culturale il vero problema. I livelli medi del sapere e del conoscere crescono solo sulla carta. La gente non è più abituata a sacrificarsi per i propri sogni e pretende tutto subito. E ovviamente questo processo è fomentato da esempi di successo facile e veloce, condito da una buona dose “tutti possono”. E la musica ne è un esempio lampante. In passato quanta gente mollava perché non riusciva a fare il “barrè” sulla chitarra? Si chiamava “selezione naturale” all’epoca. C’era chi era portato e chi no. Oggi questo concetto è sparito: basta una base (peraltro scaricata) e siamo tutti rapper o dj.
E noi che ci sbattiamo ore al giorno sugli strumenti siamo dei poveri pirla.
La colpa di questo? Di tutti. Dei media in generale che guadagnano sull’ignoranza e della gente che ha perso il piacere di guadagnarsi le cose.

Secondo voi l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
Assolutamente la seconda. A parte il fatto che, oggi, la gente non sente la necessità di essere informata. In ogni caso l’informazione crea pensiero informato e il pensiero informato è un fenomeno difficile da contenere…

Rock, grunge, garage e tanto altro. La vostra musica in qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Più che arrenderci al mercato noi speriamo nel concetto di ciclicità delle cose: tutto torna, in genere… la moda, il costume e anche la musica. Confidiamo che la nostra musica, come quella di tante band come noi, sia arrivata al momento giusto. Altrimenti, pazienza… ma non si va da nessun’altra parte, assolutamente! Vorrebbe dire snaturare un concetto.

In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che vi viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Il “deus ex machina” che sta dietro a tutto. I favoritismi “invisibili” che tessono le fila degli interessi del mercato che di musicale hanno ben poco.

E se aveste modo di risolvere questo problema, pensiate che basti?
Assolutamente.

Finito il concerto degli ELEFANTI: secondo voi il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Quella di una band emergente, come noi.

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One thought on “LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: ELEFANTI

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