LIVE REPORT: TEHO TEARDO & BLIXA BARGELD @ CINETEATRO ODEON [CT] – 4/01/17

Live report di Davide Iannitti

Con il 1362° concerto in 42 anni, l’Associazione Musicale Etnea apre il 2017 della musica di qualità riportando a Catania Teho Teardo e Blixa Bargeld, questa volta sul palco dello splendido Cineteatro Odeon. Si percepiscono grandi aspettative per la serata ed il pubblico, che sembra aver atteso a lungo questo appuntamento, riempie la sala già decine di minuti prima dell’inizio dello spettacolo.

Preceduti da Martina Bertoni al violoncello e Gabriele Coen al clarinetto basso, oltre che dal catanesissimo quartetto d’archi César Franck che prende posto alle loro spalle, il duo fa la sua comparsa tra gli applausi. Teardo, ormai acclamato compositore per il cinema, imbraccia la chitarra all’estrema sinistra del palco ed assume il controllo del piccolo laptop che sarà in qualche modo protagonista della serata. Il personaggio-icona Bargeld, frontman dei leggendari Einstürzende Neubauten ed in passato membro dei non meno importanti Bad Seeds di Nick Cave, posato il drink sull’imponente amplificatore del socio, guadagna il centro della scena.

Si comincia con la versione in italiano di Nerissimo, title-track del secondo e più recente album del duo che sarà quasi interamente proposto al pubblico nel corso della serata. Seguono i singoli The beast e Mi scusi, con quest’ultima che viene immediatamente riconosciuta dal pubblico ed applaudita già dalle primissime note. La linea sembra essere già chiara: i musicisti sul palco costruiscono densi scenari profondamente notturni in cui si muove la voce di Bargeld, ipnoticamente affascinante ed imprevedibile; forse un po’ caricaturale quando si cimenta con il nostro idioma – ed infatti si rivolgerà al pubblico esclusivamente in inglese – ma non per questo meno protagonista della scena.

Con Empty boat – cover tratta dal White Album, quello però di Caetano Veloso del 1969 – cominciamo finalmente a vedere coinvolto il quartetto César Franck. Fin qui è stato straniante vedere i quattro musicisti fermi con gli strumenti in mano pur sentendo chiaramente gli arrangiamenti di archi nella base “suonata” dal computer di Teho. Passando per il giro di basso insistente e la sottile drum machine di Animelle, con un significato in bilico tra “guts” e “little souls”, si arriva a What if…?: qui la ritmica digitale si fa più prepotente e Teardo martella gli accordi sulla chitarra, ma è decisamente straniante continuare a sentire gli archi solo nella base e constatare che, nei momenti fin qui più ricchi ed intensi della serata, più della metà dei musicisti sul palco restano seduti a guardare la scena.

Infatti, quando nella successiva Nirgendheim la base lascia subito spazio al “vero” quartetto d’archi, la differenza si sente. Intanto Martina Bertoni, col suo violoncello in fibra di carbonio, si mostra sempre fondamentale con un arsenale sorprendentemente ampio di possibilità sonore e non passa in secondo piano neanche dietro a quella sofisticata e diabolica macchina da palcoscenico che è Bargeld, che dopo aver già dimostrato di poter essere al contempo un po’ crooner e un po’ synth, qui tira fuori dalla tasca un’armonica cromatica.

Nei brani che seguono, Blixa raggiunge le sue vette espressive cominciando anche a giocare e duettare con le sua stessa voce in loop, come già aveva fatto vedere al pubblico catanese facendo tappa da Zo con il tour di “Rede/Speech” nel lontano 2003. Il suo cantato diventa più evocativo che mai in Still smiling, e nel finale fa vere e proprie magie sussurrando. Poco dopo costruisce atmosfere subacquee e misteriose nella prima parte di Axolotl, per poi cominciare a declamare su una base diventata improvvisamente marziale ed infine produrre suoni impossibili che pochi crederebbero frutto delle corde vocali di un essere umano.

Ich bin dabei, dedicata a sua moglie, suona profondamente mitteleuropea e rappresenta paradossalmente il momento fin qui più “commerciale” della scaletta. Le fa seguito Come up and see me, scritta per metà sulla terrazza di un albergo romano e per metà nella sua casa di Berlino: l’inizio pizzicato con l’ensemble al completo viene presto assorbito dalla drum machine della base, i ritornelli sono maestosi e nel finale ritornano le cento voci di Blixa, che parlano tutte insieme in un caos affascinante per poi lasciare spazio a Teardo, che si volta a dirigere gli archi e li fa lentamente svanire nel silenzio con un ampio gesto circolare delle mani.

Sembra chiaro come dietro agli interventi spesso molto discreti di Teho, che per una buona metà del concerto nella pratica fa da bassista e per il resto perlopiù ricama sottilmente trame sonore in mille modi diversi, ci sia il totale controllo della situazione sul palco. Gli arrangiamenti sono raffinati e mai eccessivi, e non si fatica a credere che sia lui la vera mente del progetto.

Ci si avvia verso la conclusione con Give me, in cui si fa spazio il suono profondo del clarinetto basso di Coen, ed infine si ritorna a Nerissimo, questa volta con la partecipazione di tutti i musicisti sul palco e con il testo in inglese – e la resa emotiva del cantato ne guadagna.

La scaletta annunciata termina qui, e gli applausi convinti del pubblico continuano ininterrottamente per alcuni minuti. Teardo e Bargeld – con un nuovo drink che va a fare coppia col precedente sull’ampli – ritornano quindi sul palco accompagnati solo da Bertoni e Coen. Il bis è corposo, ben quattro brani che mostrano il lato più luminoso del loro progetto musicale ed aggiungono nuovi suoni ai tanti fin qui sentiti ed apprezzati. Così Teho si fa sentire più distorto che mai, e Martina Bertoni suona finalmente il glockenspiel che le era rimasto davanti, inutilizzato, per tutto il concerto.

Compare un’altra cover: è Soli si muore, la versione italiana di Crimson and clover portata al successo, sempre nel 1969, da Patrick Samson. Il cantato è forse quanto di più tradizionale si possa chiedere a Bargeld, la base sembra prendere il sopravvento sui musicisti, per poi scomparire improvvisamente e affidare il finale ad un bell’intreccio di violoncello e voce in loop.

Rientrano i quattro musicisti classici e Blixa li presenta uno per uno, affrontando coraggiosamente la pronuncia di cognomi tipicamente nostrani. Quindi annuncia A quiet life, primo brano scritto dal duo per il film “Una vita tranquilla”, interagendo brevemente col pubblico senza ricordare bene se alla fine, nella pellicola, vengono ammazzati tutti. Il finale del brano dà un’idea di come suona il tutto senza laptop, ed è davvero molto, molto bello.

Nella conclusiva Defenestrazioni, Bargeld interagisce con la voce registrata di una presunta giornalista, poi gli risponde addirittura una folla urlante, e questo sembra offrire una metafora di un concerto, comunque molto più che gradevole, in cui si sono sentite troppe cose che nessuno stava suonando. Per citare il cantato di Blixa di ritorno sul palco, “qualcosa non va…”: è tutto molto bello, ma purtroppo non tutto è vero. Per chi si chiede come funzionano le cose, il dubbio – fondato – che quello che si sente sia solo registrato sovrasta più di una volta il piacere di vedere all’opera musicisti così talentuosi.

Soprattutto quando si suona così bene si potrebbe anche provare a fare qualcosa di genuinamente vero, anche se lo Zeitgeist sembra ormai trascinare tutto lontano da queste idee.

I dischi sono all’entrata, subito fuori la porta. Potrebbe essere bello, dopo un bel concerto, ascoltarli per godersi le differenze.

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