LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: DIEGO ESPOSITO

di Gianluca Clerici

Un ascolto pregno di significa, latenti e sfacciati, semplici e determinati. Il popolo quotidiano, acqua e sapone, un golf magari cucito a mano (o così vuol sembrare). Un aspetto rude che trasuda più dalle mani che dagli occhi a dispetto di una canzone d’autore leggera, dal pop efficace per le radio e per il cuore. Incontriamo Diego Esposito dopo aver consumato l’ascolto di questo esordio che non dovete lasciarvi scappare. La nuova musica italiana, è anche e soprattutto questa. Bellezza prima di tutto. Per chi è ha ossa ben levigate direi che è anche semplicità. Misuriamo il punto di vista di Esposito per le consuete domande di Just Kids Society

Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Non saprei, io ho puntato su tutte e due le cose, non avrei voluto fare altro nella vita, ho deciso di fare il musicista perché la musica è la mia passione più grande. Le persone investono la maggior parte del proprio tempo in un lavoro, il pensiero di dover passare la maggior parte del mio tempo a fare un qualcosa che non mi piacesse mi ha sempre mandato al manicomio, quindi anche se è stata davvero dura oggi riesco a vivere soltanto con la musica ed è importantissimo ricordarsi che la musica richiede studio ed impegno come qualsiasi altro lavoro

Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Forse è colpa un po’ di tutti, del pubblico che si accontenta di quello che propone il mercato attraverso le radio e i magazine. Fortunatamente le nuove tecnologie ci permettono di trovare quello che più ci piace ascoltare, basta solo essere un po’ curiosi

Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
Io penso che sia la seconda, ma è soltanto il mio parere

La musica di Diego Esposito è un bellissimo pop italiano per niente banale e sicuramente ricco di gusto. In qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
La mia musica nasce dalla necessità di esprimersi, fino ad oggi non ho mai scritto pensando al mercato, non lo dico per fare lo snob o “l’artista impegnato”, non c’ho mai pensato veramente. La mia musica è destinata a chi ha voglia di ascoltarla e non importa se sarà un grande pubblico o una piccola nicchia. Inoltre mi piace pensare che la nostra cultura venga esportata all’estero, abbiamo una nostra forte identità culturale dagli inizi della storia, non capisco il complesso di inferiorità rispetto alla musica americana, la differenza fra noi e loro è che loro investono di più.

In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Una delle grandi difficoltà di questo mestiere è che tutti vogliono fare i cantanti, sicuramente incoraggiati dalla filosofia dei talent, che ti portano al successo in un attimo, senza passare dalla “preziosa” gavetta, che invece ti forma per durare nel tempo, un altro problema è che le case discografiche non investono come un tempo, o spesso investono in progetti che durano da Natale a Santo Stefano ma danno risultati economici immediati, rispetto ad un progetto di senso ma che fa più fatica ad essere capito. Un tempo le major sopportavano gli artisti per svariati dischi prima che arrivassero al successo, oggi non è permesso sbagliare nemmeno al primo colpo.

E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
Forse si dovrebbe fare un passo indietro per rieducare il pubblico all’ascolto, o forse arriverà un giorno in cui il pubblico si romperà le palle e rovescerà il sistema, questo è un mio sogno, ma non so se riuscirò a vederlo realizzato

Finito il concerto di Diego Esposito: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Domanda difficile, a me personalmente piacerebbe che mettesse “Niente da capire” di De Gregori, perché quando l’ho sentita per la prima volta ho pensato che era così che si scrivevano le canzoni.

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