LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: PIER BERNARDI

di Gianluca Clerici

Dietro il suono di basso poi ci sono mondi e scenari e composizioni di stile. Pier Bernardi sembra quasi abbia fermato il mondo intero dietro la scia di una carriera che ormai ha pagine da raccontare. Pier Bernardi non va troppo per il sottile e pubblica un disco che è opera e che è esperienza…di suono e di visioni. Lo ascolto da giorni questo “Re-Birth” ed ogni volta ne scopro angoli strani e mai visti prima. Ogni volta. Così alla fine tutto sembra restare in equilibrio. Ecco le sue risposte alle domande di Just Kids Society:

Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Quando un ragazzino prende in mano uno strumento in mano per la prima volta ha gli occhi pieni di scintille, ha passione e determinazione. Al di là delle mode, studiare musica fino ad arrivare a saper suonare a livelli alti e, magari, perfino a comporre la propria musica, è un percorso faticoso che richiede molto impegno. Ma la passione e quelle scintille non devono consumarsi mai. Per come la vivo io la musica è una necessità e una passione insieme, quindi in questo senso io suono per me stesso, proprio perché ne sento il bisogno. Potrei raccontarti di tutte le notti che trascorro sul divano a suonare di tutto e a studiare. Ecco, questo manifesta la mia passione. Per fare un salto in più e far sì che la musica diventi un lavoro innanzitutto bisogna studiare tantissimo e in continuazione, serve fare tanta gavetta, imparare tutto del mestiere sia a livello teorico di percorso di studio, sia sul campo. Poi, banalmente, la musica diventa lavoro quando c’è una retribuzione, e diventare professionisti implica essere titolari di se stessi, del proprio tempo e delle proprie capacità. Secondo me non bisognerebbe mai smettere di suonare per se stessi anche quando la musica è un lavoro, ti sembrerà “marzulliana” come affermazione ma io mi sento totalmente realizzato quando questi due aspetti coesistono.

Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
A tutti e a nessuno. Non credo ci siano santi o colpevoli. Se i sistemi culturali vanno in crisi le cause vanno sempre cercate nelle crisi di tutti i sistemi che stanno intorno e sono ad essi collegati. Noterai in questa risposta l’influenza di un percorso di studi universitario che mi ha messo di fronte a tanti esami di sociologia! Battute a parte, credo che se va in crisi il sistema educativo e di formazione, ad esempio, la conseguenza è che si abbasserà il livello di qualità richiesta dal pubblico. Nell’antica Grecia erano filosofi e oratori preparatissimi a tenere discorsi ai giovani che crescevano quindi con un livello di pensiero critico e analitico non indifferente, oggi abbiamo in piazza gli youtuber…per dire. Ninete contro la categoria, sia chiaro, è solo che spesso si tratta di fenomeni senza molto contenuto ma con una grande apparenza e con in mano uno strumento potentissimo. Si rischia di far passare i messaggi sbagliati.
Per quel che riguarda il campo strettamente musicale, e quindi la crisi del disco, penso che il mercato cambi in continuazione e di pari passo con le avanguardie tecnologiche, quindi è un cambiamento necessario. Coloro i quali detengono le redini del mercato impongono strategie che però sono sempre meno durature in un mondo che si evolve continuamente. Al centro però rimane il pubblico che, nonostante tutto non è “stupido”, anzi. Oggi siamo bombardati di musica perché è molto più semplice realizzarla a livello tecnico anche se questa facilità non corrisponde, spesso, a produzioni di qualità. Secondo me se c’è da lavorare su qualcosa quella è la formazione, bisogna formare il pubblico, aiutandolo a discernere tra tutta la musica quella di qualità artistica, il che non vuol dire che bisogna solo scegliere musica impegnata, assolutamente no, anche tutto quello che è puro entertaiment può e dev’essere di qualità.
Per quanto riguarda i media hanno sicuramente un grande potere e un grande ruolo, quasi di responsabilità nell’ottica di formazione del pubblico, mi piacciono quelle radio che fanno programmazioni oculate e quei magazine che hanno il coraggio di scoprire dietro il velo di Maya. Mi piacciono quelli che hanno il coraggio di mettere sempre in discussione, mica fare polemica, intendo creare un dialogo che aiuti a migliorare e migliorarsi.

Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
Ti potrei dire che mi piacerebbe fosse applicata in toto la seconda, in forma responsabile ovviamente non in senso tirannico! E’ chiaro che conciliare il fattore economico (proventi pubblicitari, investimenti ecc..) di un’azienda mediatica e l’ambizione culturale non è semplicissimo, forse neanche più il servizio pubblico, parlo della nostra nazione, riesce a farlo. Dall’altra parte il pubblico chiede e i media devono rispondere in modo adeguato, altrimenti vista la forte concorrenza rischiano di sparire. Insomma è un equilibrio difficile da raggiungere oggi. Sarebbe auspicabile che chi è in possesso di capacità divulgative e di sistemi di divulgazione fosse in grado di fare scelte almeno di compromesso, dando un colpo al cerchio e uno alla botte, in sostanza. Dove il cerchio è l’interesse aziendale, la botte è l’interesse culturale di formazione del proprio pubblico.

Finalmente la musica di Pier Bernardi. Composizioni dell’anima e del proprio suono. In qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Ti rispondo così: “Re-birth” è un album che va oltre il mercato.
È completamente strumentale e questo di certo lo esclude da un certo ambito mainstream, però i musicisti che hanno suonato sono conosciuti su larga scala sia per i loro progetti attuali sia per il loro background artistico. Lo definirei un disco astuto che può piacere sia a una nicchia di alte pretese, sia a un pubblico su larga scala.
Noi abbiamo puntato primariamente sulla qualità: musicisti di grande livello e una scelta ben precisa a livello di produzione che ha escluso in assoluto l’edit in postproduzione. Re-birth suona come i musicisti l’hanno suonato senza nessun altra manipolazione. Sono sicuro che questo incuriosirà un largo pubblico, perché abbiamo fatto una scelta forte che è diventata una marca artistica.

In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
La vera difficoltà di questo mestiere è rapportarsi con gli altri. La musica tira fuori il meglio e il peggio della gente e non sempre è facile relazionarsi con gli altri, specie quando si è in momenti particolarmente sensibili. A volte serve empatia, a volte cinismo, altre volte ancora un gran pelo sullo stomaco.
Ho visto musicisti sul palco con un feeling incredibile sbranarsi appena arrivati in camerino. Ecco è proprio da queste situazioni che ho imparato tanto e ho imparato il rispetto per me stesso come professionista e verso gli altri musicisti che suonano con me di volta in volta.

E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
L’unica via è cercare di adattarsi di situazione in situazione. Facendo i conti anche con se stessi e il proprio carattere senza scendere mai a compromessi che personalmente o artisticamente non sono necessari ma anzi dannosi. A volte saper dire no è la strada maestra per occasioni migliori a cui dire sì.

Finito il concerto di Pier Bernardi: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Due possibili situazioni: alla fine di un concerto in teatro vorrei la musica del Maestro Morricone. In un’altra situazione farei invece un revival del mio background rock lasciando tutti di stucco: Red Hot Chili Peppers, Rage against the machine o forse…sai cosa? Il monologo di Trainspotting con sotto “Born Slipply” degli Underworld!

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