RECENSIONE: Bologna Violenta – Discordia (Overdrive Records / Dischi Bervisti, 2016)

di Gustavo Tagliaferri

Recensire un disco di Bologna Violenta può sembrare facile, ma la realtà dimostra sempre il suo contrario. Ad ogni sua uscita, il principio situata alla base non viene mai meno: la perenne necessità di voler andare oltre degli intenti già ampiamente ed ottimamente dimostrati in precedenza, di opera in opera, passando dall’immediatezza di “Utopie e Piccole Soddisfazioni” ad un concept album nel vero senso della parola come “Uno Bianca”. E il caso in esame ha un unico legame, almeno con l’ultimo, quello situato in una copertina che dietro l’ipotesi dell’Italicus cela un più recente interregionale di Crevalcore, dopo più di dieci anni. “Discordia” è la nuova opera della creatura techno-speedcore di Nicola Manzan e non fa certamente eccezione in quanto lavoro che giunge quasi all’improvviso, che coglie di soppiatto come un coltello in pieno petto, che uccide e ravviva al contempo, oltre che la prima opera in cui la formazione raddoppia, includendo un batterista vero e proprio, tale Alessandro Vagnoni, dotato di un tocco che non risulta affatto d’intralcio, anzi, finisce per regalare ulteriore corposità ai sedici brani presenti. E’ uno spirito, quello di Bologna Violenta, che va oltre il semplice sdoppiamento: c’è un tocco tanto immediato ne Il canale dei sadici e in una Leviatano che sa di heavy brass punk, e non a caso presenta al suo interno gli Ottone Pesante, quanto un po’ più intricato come nel blast beat tragicomico di Incredibile lite al supermercato, nei cambi di tempo de I felici animali del circo o nelle intemperie (tipiche del periodo “Utopie e Piccole Soddisfazioni”) de Il processo e di Binario morto, con tanto di forsennata chiosa a livello di sezione ritmica, c’è una natura possessiva dai toni sempre più marcati, specie se riguarda la scuola classica legata ad un violino che è da sempre marchio di fabbrica dell’artista, come emerge dalla maestosità de I postriboli d’Oriente, dalle taglienti digressioni di Un mio amico odia il prog, dall’immediata sinfonia grind di Passetto e dall’apocalisse che si riflette in Chiamala rivolta e nella titletrack, ma soprattutto ci sono istantanee che escono fuori dal contesto e il cui impatto non viene meno: si prenda Sigle di telefilm, struggente nell’inciso per solo pianoforte che fa da ideale contraltare, oppure i tempi jazzati di Il tempo dell’astinenza, che ingannano e lasciano spazio ad una danza funebre ed assassina, o l’occhiolino rivolto al rapporto uomo-tecnologia a mò di Kraftwerk ne L’eterna lotta tra il bene e le macchine, ponte levatoio verso le manipolazioni di caratura etno-softcore in Lavoro e rapina in Mongolia, fino ad una Colonialismo che da momento maggiormente impegnato, come dimostra l’andamento di charango (suonato da Monique “Honeybird” Mizrahi), arriva a fungere da ideale happy (o bad, che dir si voglia) ending del lotto. Di risultare stereotipati o chiusi nel proprio recinto non c’è voglia alcuna: “Discordia” non ha confini, “Discordia”, nel suo corso, continua a stordire, a sorprendere, a dimostrare come il talento di Bologna Violenta sia una di quelle cose ormai comprovate ed indiscutibili all’interno del vasto panorama nostrano, nel nome del Bervismo e non solo. E proprio per questo necessita ancora una volta di più di un ascolto.

Bologna Violenta – Discordia
(Overdrive Records / Dischi Bervisti, 2016)

1. Sigle di telefilm
2. Il canale dei sadici
3. Incredibile lite al supermercato
4. Un mio amico odia il prog
5. Il tempo dell’astinenza
6. Leviatano
7. Chiamala rivolta
8. L’eterna lotta tra il bene e le macchine
9. I postriboli d’Oriente
10. Binario morto
11. Discordia
12. Lavoro e rapina in Mongolia
13. Il processo
14. Passetto
15. I felici animali del circo
16. Colonialismo

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