INTERVISTA: San Diego – tra vaporwave, cantautorato tropicale e nostalgia del futuro

Diego De Gregorio musicista e cantautore romano con un evidente gusto musicale, ma anche Dj e ideatore di alcuni dei format più interessanti della scena indipendente Romana.
Da poco si aggira sul web con il suo nuovo avatar: San Diego.
Abbiamo fatto una lunga chiacchierata per scoprire qualcosa in più del suo ultimo progetto ma anche per parlare di musica a 360° davanti una Peroni ghiacciata.

Intervista di Nicola Buonsanti

Iniziamo dalle origini, parlami delle prime esperienze e di quello che volevi essere da grande.

La prima esperienza quasi casuale al Liceo a 15 anni. Prima non avrei mai immaginato di potermi avvicinare alla musica, nonostante i numerosi input musicali della mia famiglia, sognavo di far l’illustratore, amavo i fumetti. Poi la prima chitarra, il liceo e il punk ovviamente, le prime band con gli amici alle prime armi e tutti gli esperimenti possibili che si possono fare in quegli anni, spaziando dal reggae al rap iniziando per la prima volta a scrivere musica e testi.
Ricordo che i testi in quel periodo parlavano tutti di politica o dinamiche sociali, l’ estrema ribellione interiore giustificata dal fermento giovanile liceale appunto, io scrivevo testi personali più che altro e ci ho preso sempre più gusto.

Qual è la figura musicale che più ti ha segnato in questo periodo?

La figura a cui sono più legato è sicuramente quella di Ivan Graziani. Ascoltavo le sue parole e la sua musica da bambino di riflesso alla musica che si ascoltava in casa e ne restavo ogni volta colpito. 
Tutto ciò che ho composto e creato è stato sicuramente influenzato dalla sua musica e arte.
Un’icona che non è rimasta per me solo un amore infantile, anzi è tutt’ora un punto di riferimento.
Ivan è stato sicuramente un precursore ed è diventato ovviamente un modello per molti che come me hanno velleità cantautorali.

Un modo di scrivere testi molto particolare, che utilizza spesso luoghi comuni per affrontare dinamiche più complesse e sofisticate. Come nasce un tuo brano?

Prima di tutto scrivo solo in italiano, da sempre. Nonostante ascolti parole e musiche provenienti dai più remoti angoli del mondo per me è fondamentale pensare, sviluppare e creare testi in Italiano, lo sento mio e lo sento bello.
In fase compositiva, ogni volta è la musica ad arrivare per prima poi il testo vien da solo.
Non riesco ad immaginare un testo senza musica adatta ad esprimerlo. La musica esprime per prima il sentimento poi le parole arrivano e si allineano quasi per magia. È stato cosi in tutte le diverse esperienze e generi affrontati.

Restaurante” (il tuo primo disco solista) ha ricevuto feedback abbastanza positivi per poter intravedere un seguito, invece hai cambiato improvvisamente rotta. Parlami un po’ di questo primo disco.

“Restaurante”, prodotto in studio con Lucio Leoni nel 2013, ha dato il la alla mia carriera solista. La volontà di lo-fi, le distorsioni e la ricerca di un suono a tratti sgradevole, era tutto frutto di un’estrema razionalità e nonostante l’album abbia ricevuto anche discreti feedback, vedo Restaurante come un punto di passaggio nel mio percorso di ricerca. All’estrema razionalità, gli incastri e la ricerca preferisco la “pancia”, l’immediatezza e l’istinto primordiale. Infatti ho proseguito seguendo questa strada.
Quando ho prodotto quell’album non avevo ben preciso così volessi farne ora lo ascolto dopo qualche anno e ancora non lo capisco.

Un aspetto particolare della tua poliedricità musicale è quello legato al dj. Cosa vuol dire essere un dj e quanto si discosta dalla purezza di un musicista?

L’aver coltivato anche quest’altro aspetto lavorativo ha cambiato molto la concezione musicale alla quale ero molto radicato prima, smussando i miei angoli.
Un lavoro dove le “smarchettate” sono all’ordine del giorno. Far ballare una pista che non si conosce non è così facile, quindi si instaura un rapporto tra gente e dj fatto di sguardi per capire qual è il sound adeguato alla serata. Riuscire a divertire e divertirsi poi è una cosa estremamente gratificante.
Pensavo che il compromesso con la pista fosse qualcosa di estremamente pesante, invece è un lavoro molto stimolante.

Ci sono alcune tracce perfette che ogni volta che lancio in pista abbattono qualsiasi tipo di preconcetto o barriera e la gente si sente libera di ballare e sorridere.

Ti occupi spesso di organizzare format nuovi che riescono a riscuotere sempre successo oltre allo stupore ed interesse del pubblico. Il campionato cantautori, Decathlon, Non Suono, sono progetti che coinvolgono tanti tuoi colleghi della scena romana. Qual è lo spirito che ti porta ad organizzare questo tipo di eventi?

“Non suono” è un format in cui invito amici musicisti a dividere con me la console, appunto non suono. È una sorta di esperimento che indaga sulla vera musica che piace ai musicisti, ogni volta è qualcosa di non programmato che rende tutto estremamente divertente e curioso sia per noi che dividiamo la console che per chi assiste e ascolta le nostre selezioni. Hanno partecipato amici come Valerio Bulla o Marco Rissa e tanti altri amici.
“Decathlon” nasce come una serata intima dove 10 cantautori dividono un palco esibendosi in acustico con estrema armonia. Lo scopo era quello di coinvolgere le voci più interessanti della scena romana e metterle in contatto tra loro. 
Il “Campionato cantautori” è invece una vera e propria competizione dove i musicisti si divertono mettendosi anche in gioco, che non guasta mai. La serata dà la possibilità a tanta gente con talento di poter avere un palco su cui esibirsi ed una platea pronta ad ascoltarti.

Tutti questi format mi coinvolgono in prima persona e sono felicissimo di prenderci parte. Non riesco a lavorare su quello che non mi interessa, se una cosa ha motivo di essere mi precipito altrimenti il non essere mi disinteressa.

Arriviamo finalmente al nocciolo.
Il progetto San Diego mischia cantautorato ad atmosfere tropicali, nostalgia del futuro, estetica pubblicitaria e parodia della società consumistica. Questi sono alcuni elementi chiave.
Come ci sei arrivato?

Diciamo che il tutto è arrivato in maniera a tratti casuale. Ascoltando tanta musica.
Avevo molte canzoni scritte e da realizzare e continuavo a montarle, smontarle e rimontarle in chiavi sempre diverse finché non mi sono trovato qui.
Devo ammettere che è molto importante per me il parere della gente che poi è quello che in realtà mi guida. Questo suono viene fuori tutto spontaneo, e queste sonorità arrivano in maniera diretta e sincera.
Mi piacerebbe arrivare a chi mi ascolta senza schemi. Bisogna arrivare, il mio obiettivo è arrivare. Questo mi rende libero di creare ciò che voglio.

Un’intuizione interessante. Come l’hai resa tua?

Inizialmente volevo stravolgere i miei schemi musicali ed ho iniziato a lavorare con il produttore Francesco Catitti  per qualcosa di nuovo. Con Antonio Calitro (basso) e Andrea Messina (synth & elettronica) abbiamo perfezionato la parte del live invece .
Ci siamo accorti che il suono che usciva fuori ci apparteneva nonostante provocasse in noi delle sensazioni del tutto nuove ed abbiamo deciso di insistere su questa scia.
Impossessati da alcune sonorità anni 80 con un ritmo estremamente dance, abbiamo iniziato a scomporre e ricomporre melodie e standard molti evocativi adattando il tutto alla forma canzone.
Il risultato mi è subito piaciuto.

Parliamo dell’essenza di tutto, senza ipocrisie. Il mercato è importante per un artista, almeno per misurarsi o etichettarsi in una fascia di pubblico nel quale si possa rispecchiare. Hai guardato Sanremo?

Quest’anno ho ascoltato Sanremo in maniera sicuramente più attenta rispetto al passato. La mia impressione è che quest’anno c’è un distacco rispetto alle precedenti edizioni, io lo definirei “punto zero”.
Il pezzo che ha vinto è in cima alle classifiche e questa non è una cosa così scontata. Il fatto che ci sia molta attenzione al nuovo pubblico è la vera grande novità di Sanremo.
Da questa edizione si è capito quello che può andare per il nuovo pubblico e ciò che è indubbiamente passato e non più funzionale, indipendentemente dall’aspetto qualitativo musicale ovviamente.
La musica che arriva dal basso ultimamente interessa molto la gente che si abitua sempre più alla novità.
Il cantare bene o altre caratteristiche tecniche stanno lasciando spazio ad altre attitudini dell’artista. Il mercato non è un nemico è semplicemente un mercato. Se una cosa non funziona non funziona, l’auto critica è molto importante ed essere onesti con se stessi anche.

Chiudiamo con una domanda che volevo farti dall’inizio.
Quali sono i 5 dischi che per un Djset porteresti sempre con te?

Beyonce – Crazy In Love
Safri Duo – Played-A-Live (The Bongo Song)
Crystal Fighters – I Love London
Kevin Little – Turn Me On
Belinda Carlisle – Heaven Is A Place On Earth
Prendete e ballatene tutti.

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