RECENSIONE: Kleinkief – Fukushima (2016, Shyrec / Dischi Soviet Studio)

Recensione di Gustavo Tagliaferri

Certo, era risaputo, ma ora più di prima. Era evidente che Thomas Zane avesse scritto, da qualche parte, che il suo destino, una volta trascorsi tre anni da “Gli Infranti”, sarebbe stato con un’ancora maggiore intenzione quello di ricominciare, di seminare qualcosa in più, di servirsi di un terreno ancor più vasto dopo il felicissimo raccolto a livello compositivo verificato nel corso di tale lavoro. Un gioco che non si inserisce in una sfera meramente ludica, forse perché Kleinkief, questa la creatura in esame, non vede i suoi natali nell’ottica di un’idea dedita ad un’unica e sola cosa, e pertanto non stupisce che di quel pop tanto bramato in precedenza non sia presente più o meno alcuna traccia: “Fukushima” sancisce uno stadio evolutivo dove le composizioni si fanno maggiormente intricate, tra le loro influenze permettono aneliti di stampo progressive e qualsivoglia diavoleria presente risulta ben accetta, in quanto destinata a dare un tocco in più ad un’opera che, a suo modo, costituisce a tutto tondo un concept album. Sei momenti, ognuno con le proprie caratteristiche, secondo una varietà che è tutt’altro che una spina nel fianco: se Grattacieli è un’incalzante istantanea blueseggiante che nel giro di dieci minuti fa sì che la sua continua evoluzione porti all’avvento di situazioni maggiormente dilatate e schizzate, I dannati è un urlo liberatorio collettivo, dove possibili vene southern subiscono un processo di irrobustimento, di sublimazione dreamy e dulcis in fundo implodono in un veemente boogie; nel nome di una certa versatilità Mr Fulcanelli contrappone un’intensità di fondo ad una girandola di inventive, dominate dal moog e dal mellotron, strumento molto caro ad un componente assai in vena con le sperimentazioni, tale Erik Ursich (Grimoon), devote ai 70’s e meticolosamente amalgamate prima di incombere in una chiosa assassina ed ipnotica ed Il regno, tra una nota di rhodes e l’altra, funge da ninna nanna che con una minore forza di chitarre traccia atmosfere che vanno di pari passo con certo tex-mex, pur con un maggiore contrasto tra luci ed ombre tipico di certe dimensioni dark-wave, salvo poi assumere tinte un po’ più 60’s quando a farsi avanti è un imponente rock; allo stesso modo la sensazione di isolamento che se da una parte, quella di Capogiro inspirato, viene raccontata al suono di un soliloquio fatto di riverberi, dall’altra lascia spazio all’immaginazione, poichè la titletrack, tra sonagli e campanelli, mima l’atto del risveglio, ipotizza un nuovo inizio, una possibile sopravvivenza in seguito ad un disastro nucleare, e lo fa prendendo la strada del kraut, se non anche di certo ambient, con venature rumoriste favorite da qualche percussione qua e là, come a voler tracciare la sottile linea che separa il tanto discusso big bang dal tabula rasa al quale si è soggetti al giorno d’oggi. I Kleinkief si sono evoluti molto più di quanto ci si potesse auspicare, ed il risultato finale non delude alcuna aspettativa, anzi, fa sì che ci si possa augurare che ai suoi ascolti si possa ipotizzare una “Fukushima” il cui disastro possa essere sol benigno. Considerata l’alta qualità.

Kleinkief – Fukushima
(2016, Shyrec / Dischi Soviet Studio)

1. Grattacieli
2. Mr Fulcanelli
3. Il regno
4. Capogiro inspirato
5. I dannati
6. Fukushima

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