RECENSIONE: Peluqueria Hernandez – Mamboo (2016, Kutmusic)

Recensione di Gustavo Tagliaferri

Immergersi nell’ascolto di “Amaresque” significava ritrovarsi di fronte ad una situazione in cui l’eccentricità di fondo non faceva che ricoprire il ruolo dell’illusione di turno, dissipata come era da un affascinante amalgama di sonorità calde, ipnotiche e coinvolgenti, indubbiamente molto distanti da quanto il convento è solito passare qualunque sia la direzione verso cui si tende. I Peluqueria Hernandez ed in particolar modo quei musicisti che ne rappresentano i fulcri principali, tanto in primis Mauro Marchesi quanto anche Joyello Triolo, avevano da tempo le idee ben chiare, per cui tornare a circa quattro anni di distanza con qualcosa che non fosse meramente riconducibile alla definizione di follow up sembrava un’impresa particolarmente ardua. Ma così non è stato: “Mamboo”, questo il terzo album della formazione, è un lavoro che, forse, a livello di esotismo raggiunge livelli particolarmente alti, facendo eccome la differenza rispetto ad un’indole maggiormente carica che precedentemente dominava il lotto risultante. La versatilità non è un optional, ed emerge in Tinto Bruna non avrai il mio scalpo, fascinosa mistura tra tex-mex e lirica (!!!) in cui la voce di Giuliana Bergamaschi ricopre un ruolo fondamentale, a sua volta tale da tornare, per quanto con minore risonanza, in una Kung Fu Carla pregna di espedienti latineggianti, come se Santana fosse stato filtrato in un contesto bandistico e polveroso, eppure tale da celare un’intensità occasionalmente classicheggiante, la cui devozione ad illustri compositori dei ’70 è più che mai evidente; una via che risulta assai affine e marcata, a tal proposito, anche in quel di Tangaki In Pellaloco, che accenna una bossanova ed al contempo la annichilisce quasi in toto servendosi di un climax ove ai sassofoni si confondono delle chitarre degne della maggiormente degna tradizione poliziesca 70’s, ma anche dei theremin dal sapore suburbano, e non risulta da meno, guadagnando in grinta, la spinta hawaiiana e non di Piru, sottesa da fascinosi giri dal sapore Cream-Doors. Ad accompagnare tale filo conduttore sono Cassiodoro, che nel suo incedere di chitarra battente lascia aperta la strada ad un tango à la mariachi, salvo poi abbandonarsi ad un seducente excursus jazzy trainato da un sassofono, che come un bacio della morte va al contempo di pari passo con la formazione di una marcia funerea, la breve istantanea beat di One Hamburger, Please, l’attitudine rock nel reale senso della parola, accostabile, per certi versi, a quanto tentato nell’ultimo decennio anche da Daniele Sepe, mista ad un fischio di memoria morriconiana, che avviluppa Torpedone per l’inferno e le tinte d’autore di scuola 60’s di cui si circonda Solo, cantata da un Joyello che si dimostra ineccepibile nel proprio ruolo, mentre a chiudere il cerchio, con il supporto di Mauro Ottolini, è una cover di Tequila tutt’altro che fuori contesto. Anzi, forse chiusura maggiormente consona di questa non poteva esserci, essendo “Mamboo” un disco le cui vene esotiche e danzerecce non deludono alcuna aspettativa ed abbelliscono un risultato da scoprire man mano, e di conseguenza da non lasciarsi scappare.

MAMBOO_FrontPeluqueria Hernandez – Mamboo
(2016, Kutmusic)

1. Tinto Bruna non avrai il mio scalpo
2. Cassiodoro
3. Solo
4. Area Pioppa 51
5. Kung Fu Carla
6. Piru
7. Tangaki in Pellaloco
8. Torpedone per l’inferno
9. One Hamburger, Please
10. Tequila (live)

 

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