INTERVISTA: PALETTI

Intervista di Nicola Buonsanti

Incontrare Paletti per me è stato un piacere. Un’intervista di quelle che ti lascia qualcosa.
Da pochi giorni Super è fuori con Woodworm. Il disco spinge e lui scrive come Mogol su un terreno multicolor. Un artista con un potenziale non indifferente e una modestia spiazzante, si dimentica di dirmi che ha scritto Ma che ci faccio qui per Mina e Celentano.

Provando a tracciare le linee guida per facilitare l’ascolto: questo disco a chi si rivolge e per cosa è stato concepito?
È un disco dove volevo sentirmi principalmente onesto con me stesso. La prima risposta che mi verrebbe in mente è: l’ho scritto per me. Ma non è vero. La scrittura per me è una sorta di terapia. Il disco è aperto e dentro ce n’è per tutti. Parlo di mie emozioni vere, quindi un riscontro anche in chi non ti conosce ci può essere. L’interlocutore poi può farle sue ed interpretarle, io ho provato a raccontare la mia verità.

Ogni tuo album ha un punto di vista diverso sulla società, sull’essere umano. Questo album è volutamente e dichiaratamente pop. Cosa vuol dire essere pop secondo te?
Dipende cosa ognuno vuole farne del pop. La voce del padrone è un disco pop ma pieno di significati, dove esce fuori la sua ricerca, lo studio, l’analisi di sé stesso e l’occhio critico che punzecchia la società. La mia visione di Pop vuole avvicinarsi a questo modo di scrivere.

Tu punzecchi nei tuoi testi?
Sì, punzecchio sicuramente, ma parlo di me, mi metto a nudo e non lo faccio perché sia coraggioso ma per vera necessita. Il mio obiettivo è crescere come essere umano e diventare uomo.
La mia scrittura mi ha aiutato sicuramente in questo percorso personale, forse meno ad avere successo.

foto di Giulia Bersani

foto di
Giulia Bersani

Questo album a che fase della tua vita corrisponde?
Semplicemente, la fase di uno che ha superato la soglia dei trenta e cerca di stare con tutte le forze nel mondo degli adulti con ironia e leggerezza.
È un periodo dove mi sento più solido moralmente, ho le idee più chiare su alcune cose, ma altre sono ancora da esorcizzare.
La notte è giovane ad esempio parla di queste contraddizioni e dualità.

La notte è giovane parla anche dei sensi di colpa del giorno dopo?
Anche, perché no.

Com’è la tua vita da musicista in questo Mondo che impone frenesia? Come assorbe o subisce il Mondo il tuo essere musicista?
Questa è una cosa che sicuramente racconto nel disco.
Questi ultimi anni li ho vissuti come padre, uomo, autore, come uno che deve fare i conti in casa e lavare i piatti la sera. Quindi un po’ lontano dalla classica visione di musicista figo. Lo considero un lavoro come un altro, mi piace sentirmi un artigiano della musica. Vivo di musica e questo mi gratifica perché non potrei fare altro nella vita, mi sento fortunato.

Nel disco più che risposte e certezze ci si ritrova nei dubbi che tutti intimamente vivono quotidianamente. Dichiarare i dubbi e le contraddizioni è un errore? Un album che aiuta ad interrogarsi più che trovare certezze?
Non esiste una risposta a tutto. È importante farsi domande nella vita alle quali è anche corretto accettare di non conoscere la risposta. Le contraddizioni sono importanti per capire meglio quello che non sai.

Parlando della musica invece… L’elettronica ormai ha il monopolio, tu con le tue basi “spingi”, a tratti si sfiora l’italo disco. Perché hai non scelto l’acustico?
Le sonorità sono più ‘80 che ’70. Sono sempre attento a quello che succede nel Mondo a livello di produzioni. In Italia e soprattutto all’estero. È giusto che sia cosi, quindi dal puto di vista musicale non posso farmi i fatti miei ed essere estraneo. Devo essere attento a non essere anacronistico, quindi fare in modo che in ogni lavoro ci sia freschezza. Diventa una sfida anche per me, fare qualcosa di diverso senza la necessità di spiazzare a tutti i costi

3 canzoni di paletti?
Cambiamento
La notte è giovane
raccontami di te

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