LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: LUCIANO PANAMA

Intervista di Gianluca Clerici

Luciano Panama ha lasciato da canto gli Entourage e ora scrive da vero cantautore. Forse è l’evoluzione o forse è la liberazione di una parte di se che nascondeva tra le righe come si lascia intravedere dal bellissimo singolo “Le Ossa”. Scrittura di provincia e di controcultura che strizza l’occhio al pop nostrano, quello rock, quello di ruggine. Che poi la musica di Panama, che intitola “Piramidi”, è musica che cerca un altrove e lo grida… è necessita. Le sue risposte alle consuete domande di Just Kids Society:

Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Per riuscire a farne un lavoro non basta solamente saper scrivere, suonare e pubblicare dei bei dischi, che è quello che fai per te stesso e da cui secondo me sono partiti gli artisti che più mi piacciono, ma oggi mi è sembrato di capire che anche il marketing e la comunicazione siano molto importanti, la grafica il videoclip le foto. Esiste pure una questione legata al budget che si può investire per arrivare in tempi minori ad un pubblico più ampio. Poi c’è il tuo percorso, la tua maturità artistica e stilistica che arriva, nella maggior parte dei casi, dopo anni di concerti e dischi. Quindi credo che il confine stia nella propria completezza, nella motivazione, nel percorso, nella propria natura e anche nel proprio budget. Ecco, più completo è il tuo progetto più possibilità avrai di farne un lavoro duraturo.

Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Hai dimenticato gli artisti, le agenzie di concerti, i promoter locali, gli uffici stampa, etc… La colpa è un po’ di tutti gli addetti ai lavori. La crisi della vendita dei dischi è un po’ il “problema” del nostro tempo, ormai ci siamo tutti abituati ad ascoltare la musica nei computer. La colpa è di tutti e di nessuno. E’ la nostra epoca che è segnata da questa situazione sociale dove non esistono più scene forti, che il web ha rivoluzionato, e dove tutto si è mischiato come non mai. Ad ogni modo io cerco ogni giorno di analizzare tutto ciò che mi sta intorno e lavorare con positività. Esiste un ambiente di addetti ai lavori e di fruitori che crede che la musica sia cultura informazione messaggio e non solo intrattenimento ed economia, è l’ambiente che mi piace di più per adesso, in cui mi ritrovo e mi sento libero. Nella nostra società ci sono tre importanti categorie di lavoratori: gli insegnanti (dalla scuola alle arti etc…), gli operatori culturali ( artisti, gestori di centri culturali, manager, uffici stampa, booking etc…) ed i giornalisti. Tutto dipende da ciò che si insegna, dallo sviluppo di quegli insegnamenti e soprattutto da chi ne parla, con quanta insistenza obiettività e competenza. Una strada da percorrere è “contaminare” con i tuoi contenuti anche ambiti che giornalmente ci appartengono poco, senza aver paura di esporsi e rimanendo sempre se stessi. Questa secondo me potrebbe essere una strada da percorrere che sul lungo termine può portare dei risultati.

Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
È una domanda troppo generica, comunque credo che sono due aspetti che convivono e non credo che questa cosa mai cambierà. Sopra scrivevo che i giornalisti sono una delle tre categorie professionali che secondo me è in grado di influenzare il pubblico. La vera informazione, che poi è cultura, è pulizia, è quella che ti fa crescere, che ti fa evolvere e che ti lascia qualcosa dentro, credo con grande sincerità che la possano fare solo gli artisti, anche del giornalismo. La maggior parte del pubblico subisce le informazioni, non so perché, i motivi sono dei più svariati e legati alla propria esistenza. C’è invece una parte di pubblico che ricerca, che è curiosa, però che da sempre è in minoranza. E’ un equilibrio strano dell’umanità.

La musica di Luciano Panama graffia la faccia di questa Italia omologata con un piglio romanticamente popolare. In qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Io sono alla ricerca di un linguaggio che possa arrivare a chiunque. Oggi sono un uomo che ha delle sue sicurezze e dei suoi contenuti, certo sono sempre in crescita e non ho la verità in tasca. Non mi arrendo al mercato, cerco il miglior modo di essere me stesso ma all’interno di un sistema che non cambi la mia essenza e che mi lasci libero, non in un mercato preciso o in un percorso già fatto.

In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Capire se hai tutte le carte in regola per creare dei contenuti importanti. Se dei tuoi contenuti vorrai farne anche economia bisogna creare un prodotto e trovare il mercato giusto a cui proporlo.

E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
Il problema si risolve mettendoti in gioco, cercando di capire che talento hai. Se hai solo quello artistico va bene così, se scrivi e pubblichi delle cose interessanti è ok, hai già fatto delle grandi cose e può bastare. Se vuoi che intorno a te cresca anche una parte economica non basta un solo talento, devi averne anche altri.

Finito il concerto di Luciano Panama: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
L’elenco sarebbe davvero lungo. Un nome su tutti in questo momento direi Neil Young.

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