LE PAROLE DEL LUNEDÌ: CAPITOLO 1

Apriamo questa rubrica oggi, lunedì 9 aprile, non a caso. e continueremo a pubblicare un racconto inedito,
oppure un brano scelto da un libro, una poesia, il testo di una canzone che a volte è pura poesia,
oppure a consigliarvi un film, uno spettacolo teatrale, una visita guidata per le strade della vostra città,
un tour alla scoperta della street art, ogni lunedi.

Il lunedì rappresenta il passaggio fra passato e futuro, è un nuovo inizio…

“SOTTO LO STESSO FRAGILE CIELO”

(Via delle Azalee n. 7)

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Luca – interno 3
Wanda – interno 1
prof. Antonelli – interno 5

(il fattaccio)

di Luigina Baschetti

Racconto 1Già prima di voltare l’angolo Luca avvertì il brusio della gente e capì che era accaduto qualcosa.
Infatti, davanti al portone d’ingresso dello stabile in cui abitava, una piccola folla discuteva sommessamente a poca distanza da un’auto della polizia, ferma con gli sportelli aperti.
“Cos’è successo?” chiese con una punta di apprensione.
Luca abitava in un piccolo appartamento del piano rialzato da due anni, da quando cioè aveva cominciato a lavorare ed aveva creduto che tale nuovo status richiedesse una maggiore autonomia e una dimostrazione di autosufficienza totale.
Il suo appartamento era vuoto, come sempre. Non c’era nessuno ad aspettarlo in casa, eppure si sentiva in pena come se, qualunque cosa fosse accaduto nell’edificio durante la sua assenza, potesse riguardarlo.
“Sembra abbiano ammazzato uno lì, uno che abitava al secondo piano” sussurrò l’uomo come se avesse pronunciato il nome di uno di quei mali brutti che è meglio non dire.
“Cosa??” chiese Luca incredulo mentre guardava verso la finestra del secondo piano.
Luca si girò a cercare l’uomo con cui aveva appena parlato per saperne di più, ma non lo trovò. Mentre lo cercava con lo sguardo tra la piccola folla scoprì il gruppo dei suoi coinquilini che avevano fatto cerchio attorno alla portinaia e che ascoltavano avidamente il resoconto dettagliato degli avvenimenti fornito da fonte autorevole e sicura.
Luca si avvicinò ed apprese così che il Prof. Antonelli, un uomo sulla sessantina, era stato assassinato.
Luca non sapeva molto di quell’uomo, anzi, per la verità non sapeva nulla in generale dei suoi vicini. Non gli importava dei fatti degli altri e non voleva che gli altri s’impicciassero dei suoi.
il prof. Antonelli però lo incontrava spesso la mattina, mentre entrambi uscivano per recarsi al lavoro. Buongiorno e buonasera, niente di più. A volte lo aspettava e gli teneva aperto il portone mentre arrancava con la sua “gambetta corta”. Non sapeva perché fosse zoppo, se fosse nato così oppure se avesse avuto un’incidente, non gli importava. Ma era educato e gli avevano insegnato ad essere cortese con le persone in difficoltà e lo faceva d’istinto.
Per la prima volta si scoprì curioso nei suoi confronti.
La signora Wanda piangeva disperata. Era la portinaia, e si sentiva un po’ la madre di tutti.
Sulla cinquantina, corpulenta, biondastra (sicuramente tinta), lentiggini diffuse, una bella faccia tonda con la bocca piccola e ben disegnata, sembrava il personaggio di un fumetto, tipo Trudy, la fidanzata di Gambadilegno.
I singhiozzi scuotevano la sua massa provocando dei rimbalzi ritmici nelle sue forme che rendevano il pianto quasi comico e la scena un po’ ridicola, se non fosse stato che tutti provavano una grande simpatia per lei, per i sui modi affabili, per la sua cortesia e grande disponibilità,
Wanda si prendeva cura del prof. Antonelli da quando era rimasto vedovo, l’anno precedente. Gli puliva la casa, gli faceva la spesa e gli preparava i pasti, quando glielo chiedeva.
Tutto questo Luca lo stava apprendendo in questo momento.
Sapeva a malapena che il sig. Antonelli era un professore, perché stava scritto sulla porta del suo appartamento in una bella targa di ottone, che non si poteva ignorare. E infatti, l’aveva notata quella volta che era salito al piano di sopra per avvisare di una perdita d’acqua che aveva fatto apparire una bella macchia di umidità sul suo soffitto. Aveva pensato che doveva essere un bel megalomane, se ci teneva tanto a far sapere a tutti che era un “professore”.
Non sapeva che fosse vedevo e che c’era stata una signora Antonelli e non si era mai accorto che Wanda facesse avanti e indietro nella casa del professore.
Accidenti quante cose si scoprono quando accade un fattaccio di cronaca nera! Oppure era lui che non si accorgeva mai di niente?

Tra un singhiozzo e l’altro, Wanda raccontava di quanto il prof. Antonelli fosse sempre stato buono, corretto, educato, discreto, mai una frase fuori posto. A parte quella cosa accaduta qualche giorno prima…
Cominciò a raccontare che rientrando piuttosto tardi (era stata a cena da una parente – saranno state le undici e trenta), si ricordò di aver terminato la scorta d’acqua che teneva in casa e decise di scendere in cantina a prendere almeno una bottiglia per la notte. Da quando le avevano trovato il diabete soffriva di arsura notturna dovuta, forse più alla suggestione che ad una effettiva necessità.
Scese le scale che portavano alle cantine, aprì la vecchia porta di accesso meravigliandosi di trovarla socchiusa. Pensò che, come al solito, qualche condomino disattento aveva dimenticato di chiuderla a chiave, oppure erano stati i bambini che ricoveravano le loro biciclette ad ignorare la norma che invitava tutti a chiudere sempre a chiave la porta delle cantine.
Si era riproposta di chiedere ai condomini, senza essere sgarbata, di usare maggiore attenzione, nell’interesse di tutti, naturalmente!
La sua cantina era in fondo al corridoio di sinistra, subito dietro l’angolo. Il corridoio delle cantine finiva con una porta di accesso secondario che sbucava sul giardino posteriore, dove c’erano alcuni box per pochi privilegiati. La porta serviva appunto per consentire ai privilegiati possessori di box di accedere agli appartamenti dal retro, senza dover uscire nuovamente sulla strada e fare il giro del palazzo. Una bella comodità, soprattutto quando piove.
Quando fu a metà del corridoio, sentì delle voci che sussurravano, e si arrestò immediatamente. Non sapeva che fare: tornare indietro e rischiare di far notare la sua indiscreta presenza? Restare immobile e in ascolto per capire chi potesse essere? Chiamare ad alta voce per chiedere: “chi va là?”
Il dilemma fu presto sciolto. Le voci erano due e una la riconobbe senza ombra di dubbio: era il prof. Antonelli che rimproverava il titolare dell’altra voce per aver insistito a volerlo incontrare a quell’ora. La voce ora si faceva molto alterata. L’altra voce – di una ragazza, giovane, sembrava – era molto dura e minacciosa.
A questo punto del racconto Wanda si accorse di essere circondata da molte persone, anche estranee al condominio, e comprese che avrebbe potuto alimentare curiosità morbose nei suoi ascoltatori, così si riprese, si ricompose, e da brava donna quale era, aggiunse che certamente si trattava di una cosa senza alcun significato. Chissà perché le era venuta in mente proprio ora!
Anche Luca era colpito da quella storia e cominciò a fantasticare sui motivi di quell’incontro notturno e sull’identità della misteriosa visitatrice.
La piccola folla di curiosi che aveva accerchiato Wanda fu immediatamente dispersa da un agente di polizia che, dopo essersi qualificato, prese Wanda sotto braccio e la portò in disparte con fare cortese ma deciso.
Mentre gli altri si misero a parlottare tra di loro, Luca, che non godeva della loro confidenza (era considerato “quello strano ragazzo in fondo al viale”) si avviò verso il portone di casa.

Mentre entrava nell’appartamento, ripensava al racconto di Wanda.
Cosa ci faceva il professore in cantina a quell’ora? Chi era la ragazza? Perché era arrabbiata? Ma, soprattutto, cos’altro aveva sentito la signora Wanda?
Aveva acceso la televisione, come d’abitudine non appena rientrava a casa, non tanto per seguire i programmi, quanto per avere la sensazione che ci fosse qualcun altro nell’appartamento (non si era ancora abituato al silenzio di una casa vuota) ed aveva cominciato a spogliarsi.
Via le scarpe, lanciate nell’angolo vicino al letto, via la t-shirt sponsorizzata “Il gatto e la volpe”, ristorante pizzeria dove aveva lavorato come cameriere, e via i jeans, che andarono a far compagnia ad altri indumenti accatastati sulla spalliera della sedia ai piedi del letto, che avrebbe sopportato ancora, forse, il peso di un altro capo di vestiario dopo-di-ché sarebbe crollata a terra.
Senza ombra di dubbio, uno dei piaceri derivanti dal fatto di abitare da solo è che puoi girare tranquillamente per la casa in mutande. E Luca praticamente viveva in mutande.
Mentre, in mutande, stava trangugiando un enorme bicchiere di coca-cola gelata (altro piacere proibito nella casa di famiglia perché fa male, ingrassa, nessuno sa bene cosa ci sia dentro), si ricordò della sensazione che aveva avuto poco prima quando la signora Wanda aveva interrotto bruscamente il racconto dell’incontro notturno in cantina, come per evitare di gettare ombre ed insinuare inutili sospetti sulla memoria di quell’uomo.
E se quell’uomo gentile ed educato, ritenuto da tutti insospettabile di qualsiasi brutta azione, non fosse poi così pulito come poteva sembrare?
E se avesse avuto una doppia vita? un segreto da nascondere? a volte il passato ritorna! tutti hanno uno scheletro nell’armadio. Mamma mia, quanti luoghi comuni, pensò Luca.
Dopo tutta questa serie di considerazioni tra il banale, lo scontato e il fantasioso, Luca si mise a ridere di sé stesso e delle sciocchezze che aveva immaginato.
Finì di bere la coca-cola e si lasciò cadere sul letto, posò il bicchiere sul pavimento, accanto al piatto sporco che aveva lasciato lì la sera prima e cominciò a giocherellare con il telecomando, cambiando canale ogni tre secondi, nel tentativo di trovare una trasmissione che lo interessasse.
Con la mano libera cercò sul cellulare il numero di Barbara tra le chiamate in uscita. Già cinque chiamate verso di lei senza risposta.

Barbara era la ragazza che tutti avrebbero voluto. Bella da morire, almeno così la vedeva Luca, pulita dentro e fuori (detto così sembra la pubblicità di un’acqua con proprietà diuretiche), semplice, affettuosa, discreta, ma con un carattere deciso ed una forte personalità.
Aveva quasi 23 anni ma ne dimostrava appena diciotto proprio a causa, o per merito, di quell’aspetto semplice, informale, da teen-ager.
Vestiva quasi sempre in jeans e maglietta, capelli lunghi che spesso legava con un elastico sulla nuca, scarpe basse, grande borsa a tracolla. Se non fosse stato per la sua naturale eleganza, il portamento, e la ricercatezza nell’abbinare colori e gli accessori, nel muoversi, parlare e comportarsi in generale, poteva sembrare uno di quei personaggi che frequentano i centri sociali che passano la vita a fare discorsi esistenziali, a fumare erba, e a sperare che il mondo crolli perché tanto non c’è nulla da salvare.
Invece Barbara era una ragazza molto seria, riflessiva, che amava conversare e, soprattutto, sapeva ascoltare. Un po’ rigida, forse, almeno a prima vista, probabilmente a causa di un’educazione severa, e un po’ enigmatica perché non c’era verso di farla parlare di sé.
Luca pensò di avere più di quanto meritasse.

Niente, non risponde. E’ strano, non è mai successo. Anche se stesse studiando, un momento per mandare un messaggio ed avvertire potrebbe trovarlo, no? Decise di lasciare un messaggio vocale.
“Ciao amò! Sono appena rientrato a casa e non puoi immaginare cosa è successo oggi nel mio condominio!”
E cominciò a raccontare l’accaduto. Quando arrivò a descrivere l’episodio della cantina, il cellulare gli squillò tra le mani facendolo sussultare. Rispose immediatamente perché era Barbara.
“Barbara, sono ore che ti cerco, come mai non rispondevi?
“Ho sentito il tuo racconto”
Aggiunse che non doveva ascoltare pettegolezzi e che la cosa, al di là del dispiacere per la brutta vicenda accaduta ad un conoscente, non doveva toccarlo. Non doveva impicciarsi e non doveva lasciarsi coinvolgere.
Luca restò di stucco.
Le parole di Barbara, sempre così misurata e gentile, gli apparvero troppo secche e distaccate, come a voler tagliar corto con quella storia.
Provò a spiegarle che quell’avvenimento, anche se non lo riguardava direttamente, in qualche modo lo aveva toccato e lo costringeva a riflettere. Quell’uomo che aveva incontrato e salutato quasi tutte le mattine per due anni, dall’apparenza cordiale e gentile, nascondeva un segreto, ed ora era morto, ucciso!
“E a te sembra una cosa normale?” Le disse.
“Forse una ragione c’è, solo che tu non la conosci, forse se l’è cercata” Rispose Barbara.
Di nuovo, più di prima, Luca provò la sensazione di parlare con una sconosciuta.
Non ebbe il tempo di approfondire la questione perché lei tagliò corto dicendogli che quella sera non potevano vedersi perché doveva assolutamente lavorare per finire la tesi. E chiuse il telefono con un secco: “Buonanotte”.

In un’altra situazione Luca non avrebbe avuto nulla da eccepire e le avrebbe solo mandato un messaggio augurandole buon lavoro, magari aggiungendo qualche frase tipo “Povero amore mio, dovrai lavorare tutta la notte! Vuoi che ti aiuti? Lo so, lo so che preferisci lavorare da sola!”
Invece, l’insolita fretta e quella vena di nervosismo che aveva avvertito nella voce di Barbara, lo fece insospettire e si ritrovò a pensare che poteva aver inventato una scusa per non vederlo.
Poi si vergognò e trovò incredibile che potesse aver pensato una cosa del genere. Perché avrebbe dovuto essere nervosa? Non lo conosceva neanche, il professore.
O forse si?
Ricordò che qualche giorno prima, rincasando insieme, lo incontrarono nel piccolo giardino antistante il portone d’ingresso. Si salutarono educatamente come di consueto, ma Luca notò che Barbara abbassò subito lo sguardo. Addebitò quel gesto a motivi di imbarazzo da parte di Barbara perché proprio quel giorno aveva deciso di dormire, per la prima volta, a casa sua e si sentiva – disse lei – come se tutti lo sapessero e la guardassero con disapprovazione. Ricordava anche che la derise per questo, ma lei non apprezzò il suo umorismo.
Focalizzando bene quel momento, Luca ritrovò l’immagine che lo aveva colpito, ma che aveva immediatamente cancellato, perché troppo assurda.
Barbara e il professore si erano guardati ed ebbe l’impressione che si fossero scambiati un pensiero, guardandosi.
Ma non era possibile che fosse così, perché non si conoscevano, non si erano mai visti prima.
Ma ora, chissà perché, gli sembrava possibile.
Si conoscevano!
Immediatamente visualizzò nella sua mente la scena dell’incontro in cantina tra il professore e la sconosciuta come fosse stato presente e, per quanto assurdo potesse sembrare, immaginò che la ragazza fosse Barbara.

Flavio Antonelli cercava di calmare la ragazza.
“Non c’è motivo di prenderla così, io voglio solo chiarire come stanno le cose”
“Non c’è nulla da chiarire” disse la voce che ora aveva il volto di Barbara. “Tu mi devi lasciare in pace. Tu non esisti più per me, non fai più parte della mia vita da tanto tempo ormai, e non ti illudere che la morte di mamma possa cambiare le cose. Non mi fai pena. Sei vecchio, zoppo e solo. Ed è quello che ti meriti. Ho accettato di vederti solo per dirti questo”
Riesci sempre a rovinare tutto! Adesso dovrò lasciare Luca, non posso rischiare di incontrarti ancora e non posso lasciare che tu possa raccontargli di me. Non voglio che lui sappia che sono tua figlia. Sono stata chiara?”
“Sei stata chiara, ma io non ho nessuna colpa. È stato il caso che ti ha portata qui ed io l’ho interpretato come un dono del cielo. Non speravo più di rivederti. Lo so che ti ho fatto tanto male ma vorrei essere perdonato. Ti ho fatto venire di notte, passando per la porta posteriore proprio perché non volevo che Luca ti vedesse, che nessuno ti vedesse, per proteggerti”.

Era sincero Flavio Antonelli mentre diceva queste parole. Era sempre sincero quando parlava a sua figlia. Anche quando da piccola la prendeva in braccio e l’accarezzava sotto il vestito, e le diceva che le voleva bene, che quello era il suo modo di volerle bene, era sincero.
Era bella Barbara e man mano che cresceva diventava sempre più bella ma anche più scontrosa. Non voleva più farsi accarezzare e non voleva più farsi vedere nuda da lui. Doveva aspettare che Marta uscisse per convincerla a spogliarsi perché faceva sempre un sacco di storie, adesso che era diventata grande. Perché non voleva capire che lui era sempre lo stesso, quello che la notte la andava a trovare nel suo lettino e le faceva tante carezze, quello che le faceva il bagnetto e giocava con lei al dottore? Una volta aveva dovuto costringerla con la forza. Quel giorno lei lo aveva guardato fisso negli occhi – non si era mai accorto prima che aveva gli occhi così chiari, sembravano di ghiaccio – e gli aveva detto: “Un giorno pagherai per questo”. Aveva 13 anni e stava per finire le scuole medie. Ottenne dalla madre il permesso di iscriversi alla Scuola Navale Militare Morosini e appena presa la licenza media si trasferì dalla zia Livia a Venezia. Flavio si arrabbiò molto con la moglie per aver agito alle sue spalle e le disse che sarebbe andato a riprendersela. Marta però fu più determinata di lui: lo minacciò che se avesse fatto il minimo tentativo per riportarla a casa lo avrebbe ammazzato. A Flavio sembrò che dicesse sul serio e solo in quel momento capì che lei aveva sempre saputo.
Barbara non tornò mai più. Lui e Marta si trasferirono, pochi mesi dopo la partenza della figlia, in quell’appartamento dove non c’erano ne’ ricordi, ne’ fantasmi, e dove vissero come due estranei sotto lo stesso tetto fino alla morte di Marta, un anno prima.

Quando Flavio vide Barbara abbracciata a Luca, la riconobbe subito perché aveva visto delle foto in casa, quelle che la sorella di Marta le inviava nelle lettere che le scriveva di nascosto per darle notizie di sua figlia. E poi aveva anche cercato su internet, sui social, con nome e cognome oggi si trova chiunque. Ma non sapeva che fosse tornata, la credeva ancora a Venezia.
Quella notte non dormì pensando a come poteva fare per parlarle. Riuscì ad avere l’indirizzo ed il telefono da un amico che aveva fatto l’investigatore privato e la chiamò. Non fu facile parlarle, lei chiudeva sempre il telefono quando sentiva la sua voce, ma alla fine rispose e gli disse: “Va bene, vediamoci e facciamola finita”
Ora erano lì, ma lei non sentiva ragioni, non capiva che lui le voleva ancora bene, che la perdonava per essersi allontanata, e che ora che non c’era più Marta sarebbe stato tutto più semplice, non avrebbero più dovuto nascondersi”.

Wanda non faceva che ripetere le stesse cose da ore.
“Ma quante volte ve lo devo dire? Si, l’ho sentito chiaramente, lui le ha detto che le voleva ancora bene e che ora che non c’era più la moglie sarebbe stato più semplice. E’ chiaro che era la sua amante. No, non l’ho vista, sono rimasta sempre nascosta. Però ho sentito che lei gli rispondeva: “Questo non accadrà mai, piuttosto ti ammazzo”. Figuratevi se potevo farmi vedere. Sono rimasta appiccicata al muro, quasi non respiravo per paura che si accorgessero di me! Ma sono cose che si dicono quando si è arrabbiati, io non ho mai pensato che potessero ucciderlo davvero. Una persona tranquilla come lui… certo che non mi sarei proprio aspettata che avesse un’amante, anche da prima che sua moglie morisse. Questo si, che mi sorprende! E poi, incontrarla in cantina! Chissà se l’avevano fatto altre volte, Che schifo!”

Il campanello della porta distolse Luca dai suoi pensieri. Era Massimo, il vicino di casa, che non era riuscito a ricoverare la sua bici in cantina perché c’era un casino laggiù, pieno di poliziotti. “Ma è vero che hanno ammazzato il professore?”.
“E già. Che posso fare per te?” Disse sbrigativo, perché voleva tornare ai suoi ragionamenti e capire se la ragazza poteva essere davvero Barbara e soprattutto voleva parlare di nuovo con Barbara, chiamarla al telefono e chiedere qualche spiegazione”
“Posso mettere la bici nella tua di cantina, che è dall’altra parte del corridoio? A meno che non sia bloccato anche quell’ingresso, per la verità non ho controllato. Lo sai cosa dicono? Che sia stata una ragazza, una donna giovane, la sua amante, sembra. Ma ti pare possibile? Io non avrei mai pensato che Antonelli potesse avere un’amante, giovane poi! E perché ammazzarlo? Magari era pure gelosa! Cose dell’altro mondo! Io non riesco a rimediare manco una tardona, e sì che in palestra ne girano di donne che non cercano altro!”
Luca gli diede le chiavi della cantina e lo liquidò chiedendo scusa ma era al telefono.
Chiamò di nuovo Barbara che non rispose. Poi si accorse che c’era un suo messaggio in segreteria.
“Amore mio perdonami. Non so se potrò mai rivederti, spiegarti come sono andate le cose. E chissà se capiresti. Conoscerai una verità che è quella raccontata da altri, quella dei giornali, delle persone che credono di sapere tutto e che si sentiranno in diritto di giudicare, di condannare, senza sapere. Io stessa faccio fatica a credere che sia veramente accaduto ma io soltanto so perché è accaduto e non lo saprà mai nessun altro. Adesso so che nessuno può comprendere fino in fondo la natura umana e di cosa siano capaci le persone in certe circostanze. Di cosa io sono stata capace… Accadono cose che prescindono dalla nostra volontà, eventi imprevedibili che governano la nostra vita, il caso che decide per noi.
Se non ti mai avessi incontrato…o se tu avessi abitato altrove anziché lì, in via delle Azalee…”

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