LE PAROLE DEL LUNEDÌ: CAPITOLO 8

“SOTTO LO STESSO FRAGILE CIELO”

(Via delle Azalee n. 7)

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Giusy e Rose – interno 10

(metamorfosi)

di Luigina Baschetti

Racconto 8.1

La piccola Giusy era stata una bambina veramente insignificante. Non una di quelle che come la vedi dici: “Ma che bella bambina! Che bei capelli! E che occhi! Ma a chi somiglia? Ha preso il meglio di tutti”. No, quando guardavano Giusy le persone non dicevano nulla. La guardavano e basta.

Piccola di statura e magrissima, sembrava un ramoscello rinsecchito. Occhi marroni, capelli marroni, e la vestivano di marrone, per giunta. Poi un giorno cominciò a trasformarsi.

Il processo cominciò quando scoprì i vantaggi che derivavano dalla padronanza del linguaggio, che i colti chiamano eloquenza.

Giusy si accorse di avere un talento naturale che le consentiva di fare giri di parole senza mai perdere il filo del discorso e la capacità di esporre gli argomenti in maniera elegante e persuasiva, senza alcuna fatica. Comprese che, se utilizzate nel modo giusto, le parole potevano diventare un potente strumento.

Cominciò ad usare questo dono per diletto, per compiacimento, per stupire quelli che l’ascoltavano. Spesso se ne servì per difendersi dagli attacchi di coloro che cercavano di umiliarla, di sminuirla. Ma lo usò soprattutto per analizzare ed esprimere i suoi sentimenti, per comunicare senza essere fraintesa, per confrontarsi con gli altri, quando capì che solo attraverso il confronto si cresce.

L’insicurezza che l’aveva accompagnata da bambina, per via del suo aspetto scarno e scolorito, scomparve del tutto quando scoprì che le ultime barriere da abbattere erano dentro di lei e non fuori, e che ha più valenza la voglia di amare che la voglia d’amore.

Questa svolta nella sua vita fu determinata dall’incontro con un uomo maturo che le insegnò ad amare, a dirlo, ad esternarlo senza falso pudore, senza pregiudizi, esplorandone le forme, i suoni, i sapori, gli odori. Un uomo che l’amò senza chiedere di essere ricambiato e che la lasciò andare quando lei glielo chiese.

Col tempo affinò la sua capacità di comunicare utilizzando anche lo sguardo, con il quale riusciva a trasmettere le intenzioni, il desiderio, la complicità, l’appagamento. Il suo corpo diventò uno strumento di seduzione, con il quale riusciva a stregare tutte le persone con cui entrava in contatto.

Fu così che Giusy si trasformò in Rose, che nel fantastico mondo di Lot, è la fata che domina Amore e Passione.

Racconto 8.2

Rose era una nuova identità ma era anche una nuova entità, fatta di un corpo piacevole, diventato col tempo morbido e seducente, dall’aspetto curato e raffinato, e di una mente acuta, pronta, intelligente, che associava le capacità analitiche e il senso pratico ad una fervida, a volte sfrenata, fantasia. Soprattutto questo piaceva e sorprendeva in lei, questa dualità, incredibilmente coesistente, e per i più insospettabile.

Come nell’immaginario medioevale, Rose rappresentava la sublimazione della magia amorosa e dell’erotismo, insieme alla capacità umana di immaginare tutti quei progetti per vari motivi mai realizzati.

Per la maggior parte delle persone continuava ad essere Giusy, che crescendo era diventata più carina. Soltanto alcuni fortunati, che ebbero l’occasione di entrare in intimità con lei per amicizia o per amore, riuscirono a conoscere, forse senza comprenderne fino in fondo la vera natura, Rose.

Cominciò a frequentare uomini ricchi, che compravano il suo tempo e l’illusione di essere amati, uomini potenti ai quali faceva credere, compiacendoli, di poterla sottomettere ed umiliare, e donne che avrebbero voluto essere come lei.

Quando si recò all’appuntamento che le aveva dato l’agenzia Giusy restò un po’ delusa. “Via delle Azalee n. 7, ore 15.30. Puntuale, per favore, perché alle 16,00 dovrò ricevere un altro visitatore” le disse al telefono l’agente immobiliare.

La palazzina era molto signorile, non c’era dubbio, ma non era quello che Giusy si aspettava. Lei amava i colori, gli spazi aperti, la luce, e quelle finestre strette e alte, quel portone in noce scuro, così severo… Era stata molto chiara quando aveva descritto le sue esigenze e i suoi gusti, e lei non era una che sbaglia ad usare le parole. Quell’agente doveva essere scemo.

Quarto e ultimo piano, mi ha chiesto un piano alto vero? Vedrà, in realtà sembra di stare molto più su’, perché questi palazzetti d’epoca hanno i soffitti molto più alti di quelli di oggi. Naturalmente c’è l’ascensore, l’hanno fatto installare circa 10 anni fa”.

L’agente immobiliare continuava a parlare, di spese condominiali, delle cantine, dell’esposizione, mentre lei avrebbe voluto andarsene e dire che non se ne faceva nulla, che era una perdita di tempo, per entrambi. Ma intanto erano arrivati al quarto piano e lui aveva già le chiavi dell’appartamento in mano.

Beh, entriamo, facciamo un giro, tanto per non essere scortese, e poi gli dirò semplicemente che non è quello che cercavo. Arrivederci e grazie” pensava Giusy.

Prima di entrare aveva notato che sul pianerottolo c’era una porta sola, e l’agente le spiegò che prima lassù c’erano le fontane, dove una volta le donne andavano a lavare e stendere la biancheria. In sede di ristrutturazione della palazzina, quello spazio condominiale fu acquistato da uno dei condomini che ne fece un appartamento, abitato per qualche anno dal proprietario stesso ed ora messo in vendita.

L’appartamento si rivelò una vera sorpresa. Ecco perché l’agente aveva tanto insistito, non era scemo come Giusy aveva creduto.

Un grande ambiente di forma pentagonale di circa 60/70 metri quadrati costituiva il living, come amano chiamare il soggiorno gli esperti di arredamento. La grande stanza si presentò agli occhi di Giusy con i colori del viola e del verde malva sulle due pareti di destra, mentre le altre due pareti… non c’erano, perché erano completamente di cristallo! Dietro la non-parete frontale c’era un terrazzo che sembrava infinito, ma che sicuramente finiva, da qualche parte, laggiù. L’altra non-parete mostrava un terrazzo più piccolo attrezzato con tavolo, sedie e barbecue. La quinta parete, quella su cui si apriva la porta d’ingresso e che era poi il punto di osservazione di Giusy, era la parete più piccola del pentagono, ed era del colore del grano.

Al centro del soggiorno c’erano due divani bianchi disposti l’uno di fronte all’altro e, tra i due, un tavolino basso in stile orientale. Sul lato sinistro padroneggiava un grande tavolo stile tibetano con sedie ricoperte di stoffa colorata. Sulla destra una libreria a giorno in legno chiaro delimitava uno spazio adibito a studio, arredato con una piccola scrivania sempre in legno chiaro, una poltroncina foderata in cavallino nero e un mobile libreria appoggiato contro la parete viola.

Racconto 8.3

Il pavimento in parquet mostrava fioriture di tappeti orientali, accostati audacemente ad altri moderni, con disegni geometrici.

Sulla parete viola, a destra del soggiorno, un piccolo corridoio favoriva l’accesso all’unica camera da letto, con bagno interno, rivestito con piccole piastrelle di vetro mosaico di colore turchese e verde. La camera era bianca e vuota. Meglio così, pensò Giusy-Rose, che per la camera da letto aveva progetti bizzarri.

Sulla parete verde malva, in prossimità della non-parete si apriva un disimpegno che portava alla cucina e al bagno di servizio.

La cucina era arredata in stile moderno, con pannelli laccati rosso Valentino e rifiniture in acciaio. Lampade coniche bianche e arancione scendevano dal soffitto a livelli alterni concentrandosi sul tavolo di cristallo e acciaio. Il tavolo era appoggiato alla non-parete di cristallo. Fuori si vedeva il terrazzo infinito, sempre quello di prima, che girava tutt’intorno alla casa.

Giusy guardò frettolosamente il locale lavanderia e il bagno di servizio. “Dov’è che devo firmare?” Conclusero l’affare senza alcuna trattativa.

Col tempo dovette ricredersi anche sui condomini, che lei aveva immaginato come vecchi rimbambiti, pieni di soldi e di pregiudizi.

Intanto non erano tutti vecchi, e poi erano cordiali, gentili, disponibili, e soprattutto si facevano i fatti loro, che era la cosa più importante.

Sapeva di essere oggetto di curiosità, perché non era il tipo che passava inosservata, perché aveva comprato quell’attico che costava un mucchio di soldi e perché possedeva quella BMW Cabrio serie 4 azzurro metallizzato con interni in pelle color avorio, parcheggiata davanti casa. Di sicuro nessuno pensava a lei come alla cassiera di un supermercato, ma nessuno le fece mai domande di carattere personale.

Soltanto la portinaia, che sorvegliava sempre il portone d’entrata, una volta aveva azzardato un’ipotesi sul suo lavoro che – secondo lei – doveva essere nel campo dell’alta moda, visto che era sempre così ben vestita, oppure lavorava al cinema? “Per questo dorme di giorno ed esce di sera… perché le sfilate si fanno di sera, vero? o no?”

Si, di sera” rispose Giusy e la salutò con il suo più bel sorriso.

Racconto 8.4

Tutto sembrava filare per il vero giusto. Rose era diventata una macchina da guerra. La sua vita scorreva tra feste, mostre, cinema, teatro, incontri mondani che finivano in “incontri di lavoro”, shopping, viaggi, centri estetici e circoli sportivi, finché qualcosa spezzò questa piacevole e redditizia routine: un uomo catturò il suo cuore.

All’inizio Rose si divertì a stupirlo con i suoi effetti speciali, come faceva con tutti, ad impressionarlo con le sorprese, con i giochi. Usò tutte le parole che conosceva, tutti gli sguardi che potevano andare ben oltre le parole e tutta la fantasia che superava ogni immaginazione.

Le piaceva tanto quel ragazzo, tanto da trascurare tutto il resto. Per gustare fino in fondo la magia di quei momenti Rose si dedicò solo a lui e si lasciò andare completamente, dimenticandosi chi era. Perse il controllo della situazione e la capacità di mantenere in equilibrio tutte le sue doti, e questo le fu fatale.

Cominciò a realizzare che forse si era innamorata. Era convinta che non le sarebbe mai successo, che avrebbe sempre saputo controllare le sue emozioni, perché sapeva quanto fosse rischioso per una come lei innamorarsi. Significava compromettere tutto ciò per cui aveva lavorato fino a quel momento, smettere di vedere altri uomini, cambiare stile di vita, cambiare la sua testa e il suo cuore. Aveva raggiunto traguardi insperati, ottenuto privilegi che l’avevano resa forte e sicura. Fino a quel momento.

Non riusciva a pensare ad altro che a lui, lo avrebbe voluto sempre accanto a lei, ogni momento del giorno e della notte. Voleva entrare nella sua testa, sapere cosa pensava, cosa desiderava, e diceva a sé stessa che era per poterlo compiacere, per anticipare i suoi desideri e renderlo felice.

Ancora non se accorgeva ma stava diventando possessiva, gelosa, soffocante, invadente, meschina, detestabile.

Quando se ne rese conto era ormai tardi. Lui la vide nella sua debolezza e scoprì che era una donna come le altre, anzi, della peggior specie, una di quelle che ti vogliono entrare dentro, divorarti il cuore e il cervello, e più sono intelligenti e peggio sono.

Ogni tentativo per recuperare quel rapporto si rivelò inutile. Rose usò ogni mezzo, attinse a tutte le sue risorse, ma non ci fu verso. Lui non la volle più.

Racconto 8.5

C’era trambusto fuori, aveva sentito le sirene della polizia, la grande porta a vetri della non-parete che dava sul terrazzo era aperta e dalla strada arrivavano voci concitate. Era successo qualcosa ma non aveva capito cosa, e del resto non le interessava. Non aveva chiuso occhio quella notte, ormai da settimane non riusciva a dormire. Pensava a riorganizzare la sua vita ma non sapeva da dove cominciare.

Preparò il caffè e mentre aspettava che la moka spandesse per la casa quell’aroma che sapeva di famiglia, pensava anche questo era un inizio. Fino a poco tempo prima avrebbe acceso candele profumate, oppure incenso, per prepararsi ad un incontro speciale.

Si guardò allo specchio e vide i due volti di sé stessa: c’era ancora una fata da qualche parte, là dietro, i cui contorni si facevano sempre più sfumati, e intanto affiorava un volto nuovo, sconosciuto. Mentre i due volti trasfiguravano l’uno nell’altro le sembrò di vedere una donna con un velo sugli occhi, un fragilissimo essere umano.

Ci vuole il dolore, quello della sconfitta, dell’umiliazione, della perdita, del senso di vuoto che resta dopo, per rinascere di nuovo.

Rose e Giusy impararono da quell’errore e lo trasformarono in un piccolo tesoro, un gioiello prezioso che si chiama esperienza.

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