LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: WINTER DIES IN JUNE

Intervista di Gianluca Clerici

Sono i Winter Dies in June. Sono quel misto pop rock americano che sa di polvere e di industrializzazione digitale. Sono quel bel misto di sensazioni di viaggio e di riflessioni metalliche che alla fine non sai mai come prendere. Sono la risposta alla forma canzone pop di chi cerca l’internazionalizzazione e non ci riesce. Questo disco “Penelope, Sebastian” racconta, viaggia, da Londra a New Yorok, dal folk al post rock, dalle strutture digitali alla canzone d’autore più folk. Un genere preciso non c’è. Forse la danza del video che si rende quasi casuale in cerca di espressione figurativa è l’unica vera chiave di lettura. Ecco il loro punto di vista alle consuete domande di Just Kids Society:

Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo voi qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Mah…penso che guadagnarsi da vivere sia già pensare a se stessi. Se si può farlo suonando tanto meglio. Il confine è che bisogna fare delle scelte. Per vivere di musica ci vuole coraggio e molta fiducia nelle proprie capacità.

Crisi del disco e crisi culturale. A chi dareste la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Penso che la musica non sia mai stata così in forma come offerta…tutti suonano…tutti fanno dischi. La cosa semmai inquietante è che dicono spesso le stesse cose. L’offerta è decuplicata..non solo di musica…ma anche di chi parla scrive e trasmette musica. La domanda però non è cresciuta. La torta è sempre quella.

Secondo voi l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
Vecchia, annosa e irrisolvibile questione. L’informazione musicale come quella generalista si adatta allo strumento di comunicazione. L’informazione è a volte talmente amatoriale e naive che non ha un target preciso. L’informazione musicale è spesso fatta della stessa pasta dell’audience o del fruitore. Non la anticipa. Non ne sa di più. E spesso non scrive meglio. Ancora una volta…ci stiamo abituando a strumenti che non solo non approfondiscono nulla…ma non permettono neanche.di capire chi scrive bene o chi è un cane. In così pochi caratteri anche l’ultimo dei cani,può azzeccare una sintassi ficcante.

La musica dei Winter Dies in June è quel rock a tratti psichedelico e molto devoto alla melodia che culla di riflessioni e spazi aperti. In qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Magari ci arrendessimo al mercato…vorrebbe dire averne uno. Noi abbiamo la sfiga o la fortuna di non avere pressioni e di poterci permettere di registrare quello che vogliamo dove vogliamo con i ritmi che vogliamo. Quello che si percepisce come libertà nella nostra musica è semplicemente il fatto che avendo altre vite la musica per noi non è sofferenza produttiva.

In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che vi viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
La vera grande difficoltà è farne un mestiere. E sarebbe un mestiere molto duro. Quindi chi riesce a farne un mestiere ha tutto il mio rispetto e la mia stima.

Finito il concerto dei Winter Dies in June: secondo voi il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
La canzone che sarebbe bello sentire è “Find the river” dei REM ma anche “What is it for” degli AVI Buffalo

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