RECENSIONE: Gianluca Pacini – Abitudine

Abitudine di Gianluca Pacini esce in sordina il 15 febbraio 2019, con tutta l’umiltà che può avere il primo disco di un giovane ragazzo esordiente. E l’umiltà, al giorno d’oggi, è un atto di coraggio. A Pacini di certo il coraggio non manca e lo si può riconoscere declinato sotto varie forme in questo album, costituito da sei raffinati pezzi ognuno dei quali ha una propria identità ma che allo stesso tempo è la mattonella di un’unica strada. Il coraggio, appunto. Quello di un giovane artista che sceglie la semplicità (ma non la banalità, attenzione!) in un mondo che ha fatto delle complessità un vanto: poche tracce, pochi strumenti, immagini ricorrenti e una voce sussurrata. Elementi così sapientemente uniti tra di loro da creare un forte senso di coesione.

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Gianluca Pacini fa un atto di coraggio: esce dal buio, dalla nebbia che sembra pervadere le sue canzoni e alla luce di magri lampioni prova a comunicare, con un filo di voce, in un mondo in cui la fragilità viene urlata in faccia come fosse un vessillo di guerra, e in cui ci si dimentica che la delicatezza non è debolezza. Le parole risuonano con una chitarra resa altrettanto morbida e sensibile, come se fosse legno vivo, con una sua anima che parla. Ci sostengono i bassi continui e costanti, danno sicurezza come il battito del cuore. Ci tiene per mano un primo arpeggio iniziale, con una struttura costante in ogni pezzo, ci accompagnano gli accordi circolari fluidi come l’acqua, tranquilli come il mare. Le ritmiche, in un mondo in cui tutti corrono anche se non hanno voglia di correre, ti permettono di riportare il respiro regolare, di camminare e di prenderti il tempo di notare quello che ti circonda e di accettare che quello che ti colpisce al di fuori, con gli occhi o con le orecchie, lo hai già nel cuore, e piano piano viene a galla (e forse è per questo che è meglio correre e scappare).

Le immagini che Pacini fa emergere sono di pura quotidianità; con una scrittura chiara e precisa parla delle paure e delle ansie di ognuno di noi ma ce le restituisce come riflesse da uno specchio d’acqua, tremolanti e sfocate, come la sua voce, come quella chitarra che sembra dilatarsi in mille increspature. Sicuramente Pacini si mostra come un autore maturo e sensibile nonostante la sua età, senza però risultare ridondante e retorico.
Insomma, in sei canzoni che non durano più di 35 minuti, Pacini ci dona il privilegio di prenderci un tempo che è questo per le lancette dell’orologio, ma che dentro di noi chissà quanto dura, e ci permette di assaporare la meraviglia di ascoltare e percepire qualcosa a cui siamo così abituati che non ce ne rendiamo neanche conto.

Ma siamo davvero così sicuri che l’abitudine sia così scontata? Che si possa dire di conoscerla davvero? L’abitudine è parte di noi, che piaccia o meno anche grazie a essa ci formiamo. E chi può dire di conoscersi così bene?

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