INTERVISTE: LIBERO

Intervista di Gianluca Clerici

Sono 9 le terre che Libero Reina si è fermato ad osservare. O probabilmente è stato lui ad essere osservato. E le terre che ci circondano, quelle fatte di pietra e di uomini, di pellegrini e di antichi presagi, sono le terre che vivono con e attorno alla quotidianità di Libero Reina… figlio d’arte e di vita, figlio di quel silenzio che osserva e di quel suono che vien fuori dalla contaminazione. Perché accade questo nelle terre di confine come la Sicilia, la sua Sicilia, non quella del mercato industriale ma quella di polvere dove gli uomini sono ancora legati ad essa e alle sue tradizioni. Esce “9Terre”, un disco di 9 inediti ampiamente anticipato da singoli come “Binnajaah” o “Maghreb”, un disco che vale la pena sottolineare oggi che la scena della parola cantata si fa sempre più sterile di personalità e conforme alle regole del mercato digitale. Si torna alle radici. Anzi, non ce ne siamo mai distaccati. Forse avremmo preferito un’immersione più didascalica nel dizionario degli strumenti in gioco, forse sono dettagli inutili questi… forse bisogna semplicemente mettere da parte tutte le etichette e immergersi in questa lunga processione spirituale che è l’incontro di uomini e di terre. 

9TERRE con nome

Inevitabile non parlare della Sicilia. Come Napoli, come Genova… sono terre di confine, terre di contaminazione e di umanità. Quanto tutto questo ha contribuito alla scrittura del disco?
È stato fondamentale. Vivo in una terra di confine, ne sono figlio, e “9TERRE” non poteva che rappresentare tutto quello che vivo e che amo.

Nelle 9 tracce (o terre) che ci fai visitare ci sono anche forti richiami all’India ma anche a territori africani, il Maghreb… e cos’altro ancora?
Non ho mai visitato né l’India né l’Africa. Ho semplicemente raccontato come queste meravigliose culture vivono, si mischiano e sopravvivono qui in Sicilia, in un ecosistema multiculturale unico che esiste da secoli. Sono alla costante ricerca di suoni, echi, da far risuonare ancora in quest’epoca.

Strumenti della tradizione? Mi sarei aspettato molta ricerca in merito invece hai deciso di tenere un appiglio solido alla forma canzone pop tradizionale… commerciale per alcuni aspetti. Come mai questa scelta?
Tutte le canzoni sono state incise da strumenti acustici affiancati ad elettronici. Forse non si direbbe, ma ad esempio in “Au Maghreb”, il riff centrale è suonato da Mandolino, chitarra classica, bouzouki, tabla e synth elettronici. È il mix che fa risuonare tutto come un unico strumento.
In ogni caso, volevo che ogni brano fosse orecchiabile: volevo unire le mie radici etniche e folk e farle sbocciare nell’elettropop.

Speranza nel futuro: in questo disco si respira molta devozione alla vita futura.Eppure oggi viviamo in un’era del perfetto nichilismo. Come la vedi?
Penso che serva un obiettivo, un sogno da raggiungere o comunque un motivo per cui lottare. Serve crescere prendendosi cura della bellezza, sapendola riconoscere e coltivandola.

Contaminazione culturale: ecco un’altro concetto che mi arriva forte in questo disco. E anche qui, ai giovanissimi di oggi solidamente rinchiusi nelle loro solitudini digitali da social network, cosa ti senti di dire dire?
“E adesso guardati attorno e dimmi cosa c’è. Gli schermi sporcano la luce intorno a te.” [Involuzioni]

A chiudere: perché proprio 9 queste terre?
Perché hanno scelto di essere 9; ho trovato in loro un viaggio, una giusta armonia che le ha collegate in un unica storia. Io sono rimasto ad ascoltare.

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