LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: Mr. BRICKS & THE RUBBLE

Intervista di Gianluca Clerici

B-side di una vita dedita al rock’n’roll e a poche altre sue derive di stile. Altro progetto sfornato dalle tante agevolazioni di Puglia Sounds il che ci fa sempre ben sperare che continui con successo questo grande riconoscimento di merito al valore della musica. Parliamo di 3 artisti ormai noti alla scena italiana: Dario Mattoni dei Rekkiabilly, Nicola De Liso dei Folkabestia e Dado Penta che abbiamo ritrovato a firmare tante produzioni e collaborazioni importanti tra cui The Bumps. Si fanno chiamare Mr. Bricks & the Rubble e questo loro primo disco assieme è “Busy”: quel suono che i più etichetteranno saggiamente come americano, quel mix e quel modo che celebra un revival di anni ’50 ma con un piglio decisamente più moderno e, come nel singolo “Voodoo Spell”, mi par di sentire retrogusti europei che non saprei come spiegare in altro modo. Ma forse sono solo sensazioni personali. E, per rispondere a loro di rimando: “Busy” è un bel disco, di revival e al tempo stesso fresco di attualità… certamente ci è piaciuto e certamente, come ogni opera dell’ingegno, è doveroso chiamarla opera d’arte. A 3 artisti di lungo corso non poteva non rivolgere le consuete domande di Just Kids Society:

Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?

La musica è un riflesso della società e ha sempre rispecchiato i sentimenti dei popoli e delle loro culture. Quando c’è stato un gran bisogno di dire qualcosa la musica ha avuto un ruolo determinante, basti pensare al blues e ai canti gospel, al rap, al rock’n’roll nel dopoguerra, al ’68 e tanti altri momenti in cui la musica e l’arte hanno segnato delle epoche. Negli ultimi anni il pubblico è diventato però sempre più un semplice fruitore e non più partecipe e interattivo, questo generalizzando, e quindi quello che emerge è che buona parte della musica main stream è diventata usa e getta, raccoglie i like per poi essere dimenticata velocemente. È un pubblico vorace, con poca pazienza, che si stanca in fretta. Un amico una volta mi disse: “il pubblico di oggi si comporta come un bimbo ricchissimo, perché ha a disposizione tutta la musica del mondo e non riesce ad apprezzarla, perché non deve mettere i soldi da parte per comprare un disco; li ha già tutti”

E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca –  l’appartenenza al sistema?

Questo disco cerca di essere un dignitoso mezzo di espressione, e probabilmente di stimolare la curiosità della società del futuro.

La personalità ce l’ha perché traspare il background dei musicisti sicuramente, ma ha una sua personalità, come del resto la band; Siamo ancora dell’idea che il sistema si può educare e non imboccare, quindi anche un disco che non risponde ai canoni del mercato in voga, può trovare un suo pubblico, e quel pubblico si può espandere. Vedi il grande ritorno del rap, in Italia! Chi lo avrebbe mai detto?

Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?

La musica si fa per se stessi quando la si concepisce perché da appagamento allo spirito, però poi ovviamente siccome noi di musica ci mangiamo, dobbiamo essere bravi a destinare la nostra fatica musicale ad un pubblico. 

È ovvio che nell’underground e nei nuovi talenti sono i musicisti ad inseguire il pubblico cercando di accontentarlo, ma nel mainstream i ruoli si invertono e il pubblico apre il becco aspettando che mamma uccello li nutra di cibo fresco, ma a volte anche di minestre riscaldate.

E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?

I social sono uno strumento di quest’epoca e ogni band se vuole comunicare col suo pubblico nel 2020 deve utilizzarli, però è chiaro che per la loro natura possono sicuramente mettere in risalto un lato più narcisistico delle persone e quindi anche delle band, oltre che rendere le cose meno genuine, ma fa parte del gioco; stiamo barattando la possibilità di entrare in contatto con migliaia di persone in pochi click, con la gavetta fatta di locali fumosi e generazioni precedenti che incutevano molto timore, ma insegnavano molto. 

Un disco di grande rock’n’roll all’americana maniera anche se ci sono meno radici di quante siano le nuove tendenze rivoluzione di stile, sempre riferendoci a questo genere. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?

Grazie per l’opera d’arte e dell’ingegno perché fa intuire che il disco vi sia piaciuto!

Ovviamente attinge dal sound ’50 americano e inglese, ma non nasconde le sue radici mediterranee e lo sguardo verso il futuro. 

Per quanto riguarda l’ispirazione, possiamo sicuramente dire che proviene dalla vita di tutti i giorni; da viaggi, delusioni, prospettive future, soddisfazioni, gioia, amarezza, amore e rock’n’roll.

Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?

Il fenomeno dei live che spariscono è un incubo, e sta diventando sempre più ricorrente. Poi quando il live si fa, c’è un altro problema, cioè che uno su dieci è un live in cui la gente si diverte e non sta li col cellulare in mano. Per fortuna almeno questa non è ancora una pandemia, anzi abbiamo in Italia questo triste primato.

Se ti trovi in Inghilterra ad un festival e tiri fuori un telefono per registrare un concerto, ti guardano come un cretino, giustamente.

La musica c’è e parla alle persone, ma bisogna vedere cosa ha da dire e se il pubblico è disposto ad ascoltare; meglio augurarsi anche qui una fase transitoria e generazionale altrimenti la musica ne risentirà molto, almeno in alcune parti del mondo.

E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?

Questo lavoro per forza di cose incontra le persone ed è un enzima pazzesco per creare reti e contatti, e visitare luoghi lontani. 

E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto di Mr. Bricks and the Rubble, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?

Stavamo pensando tempo fa che ci piacerebbe lasciare il palco sulle note di “Dracula’s Doughter” di Screaming Lord Sutch.

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