LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: ANDREA BARONE

Intervista di Gianluca Clerici

Un disco che somiglia molto ad un album di fotografie, di vita, di passato ma anche di futuro. Andrea Barone, autore e compositore salernitano, passa in rassegna le sue scritture, tra nostalgie e nuove cose, si affida alla voce di tanti artisti del suo universo conosciuto e da alla luce questo lavoro che probabilmente è il primo lavoro ufficiale a racchiudere in un certo modo le sue composizioni. “Reborn” lo vedo molto come un volo a planare sulla mia piccola e grande (grandissima) città. Tra pop e stilemi roots internazionali. A lui le consuete domande di Just Kids Society:

Parliamo di musica o di gossip? Oggi il mondo sembra più attento agli effetti di scena, da dare in pasto al giornalismo e alle tv più che ai contenuti degli artisti. Ecco la domanda: perché qualcosa arrivi al pubblico di questo presente meglio badare quindi alla scena o restare fedele ai contenuti?
Credo che alla fine conti sempre restare fedeli ai contenuti, anche se una cura della scena e dell’immagine oggi è imprescindibile e importante, a volte troppo, soprattutto con il dilagare dei social, in cui conta l’immediatezza, l’impatto, e ciò che ha più presa sono contenuti brevi e immediati e ci si sofferma poco sulla profondità delle cose, e questo penso sia un problema. Ma credo che quello tra contenuti e immagine sia un contrasto che si è sempre riproposto con i vari tipi di media che si sono succeduti. Penso che alla lunga comunque l’autenticità paghi, e che l’avere davvero qualcosa da dire, il restare fedele a sé stessi alla fine siano elementi che vengano percepiti dal pubblico vero.

Guardiamo sempre al passato, alle radici, ai grandi classici per citare insegnamenti e condizionare le mode del futuro. Perché? Il presente non ha le carte per segnare una nuova via?
Probabilmente ce l’ha ma soltanto col passare degli anni si comprende quanto il presente abbia prodotto qualcosa che si può rivelare importante storicamente e influente nei tempi a venire. È una questione di “prospettiva temporale”, col passare del tempo le cose acquistano il loro valore reale. Allo stesso tempo non bisognerebbe rintanarsi nel passato dando per scontato che qualsiasi cosa prodotta nel presente non possa mai essere all’altezza di quelle passate, è un errore frequente. Avere dei punti di riferimento nei grandi classici rimane comunque sempre importante, sono sicuramente sempre una fonte di spunti e di insegnamento a cui attingere. Stravinskij diceva: “gli artisti mediocri prendono in prestito, quelli grandi rubano”.

Che poi di fronte alle tante trasgressioni che ci vengono vendute dalle televisioni, quante sono davvero innovative e quante sono figlie sconosciute e mascherate di quei classici anche “meno famosi” di cui parlavamo poco fa?
Effettivamente a volte mi capita di assistere a contenuti televisivi apparentemente trasgressivi o rivoluzionari che in realtà sono un scimmiottamento di elementi del passato, forse perché mancano idee nuove, o manca una reale personalità, chissà.

Scendiamo nello specifico di questo disco, che parla di un rock poetico e di grande storia, che parla di visioni e di sospensione, che parla di “pop” in senso alto… È decisamente un lavoro figlio delle grandi scuole e ha tutta l’aria di vendersi come tale. Anche la produzione ha cercato questa direzione o sbaglio? Dunque come può parlare al pubblico di oggi che sta continuamente con i telefonini in mano a cercare di identificarsi dentro suoni digitali di format discografici ciclicamente copiati e riproposti?
Mi fa piacere che l’album venga percepito come lo hai descritto. Nel produrre questo disco non mi sono posto il problema di definire il pubblico a cui rivolgerlo, nel senso che ho scritto e costruito le canzoni così come mi sono venute e così come credevo fosse giusto dovessero crescere e svilupparsi per valorizzarle al meglio. Che piaccia o no, penso sia un disco autentico, figlio sicuramente, come dici tu, delle grandi scuole, e sicuramente anche la produzione è andata in questa direzione. Non a caso anche per questo motivo lo definisco anche un omaggio a generi e correnti musicali che amo e che mi hanno influenzato. Ad esempio, il brano Say goodbye, cantato da Ario Avecone, è un voluto omaggio e riferimento alle grandi ballad rock anni ‘80/’90 di Bon Jovi, Aerosmith, Brian Adams, Europe e simili. Non so se il disco può parlare al pubblico “digitale” di oggi, probabilmente no, e il fatto che i brani siano in inglese forse in Italia aggiunge una difficoltà in più, ma almeno sono rimasto fedele a me stesso e alle canzoni.

Parliamo di cultura e di informazione. Siamo dentro un circo mediatico dalla forza assurda capace di fagocitare le piccole realtà, anzi direi tutte le realtà particolari di cui parlava Pasolini. La musica indipendente quindi che peso continua ad avere? Oppure viene lasciata libera di parlare tanto non troverà mai terreno fertile di attenzioni?
Discorso complesso, Pasolini parlava di una società mediatica dominata dalla televisione, forse oggi siamo andati oltre, i social hanno ormai superato la televisione in quanto a influenza e peso sociale, e la televisione sempre di più si fa dettare dai social i propri contenuti. Probabilmente grazie ai social la musica indipendente trova nuove possibilità, nuovi canali di trasmissione e di accesso al pubblico, ma è un sistema “democratico” che in realtà può diventare una jungla mediatica dalle complessità senza precedenti, ed effettivamente può fagocitarti dandoti l’illusione di parlare al mondo intero mentre invece non stai parlando a nessuno. Ma in generale credo che internet offra buone possibilità di diffusione alla musica indipendente.

Più in generale, la musica può tornare ad avere un peso sociale per la gente
quotidiana?
Credo che non abbia mai smesso di averlo, anche se apparentemente a volte sembra di no. La musica influisce sempre nella società, e spesso è espressione della stessa, nel bene e nel male. Ma sicuramente potrebbe e dovrebbe tornare a farlo nei modi più alti e nobili che come arte suprema meriterebbe.

E restando sul tema delle trasformazioni: vinile, CD o canali digitali? Oggi in fondo anche la musica è gratis, basta un click… è segno del futuro o è il vero cuore della crisi? Che poi tutti condannano la gratuità però tutti vogliono finirci su Spotify…
Io credo che le possibilità offerte dallo streaming siano fantastiche, oggi chiunque può ascoltare qualsiasi tipo di musica desideri in qualsiasi istante, e questo può facilitare la cultura, la conoscenza personale, anche se le nuove generazioni non sempre si rendono conto di questa immensa possibilità. Il problema però è che dallo streaming vengano poi garantite le giuste royalties agli artisti, come mi pare sia stato richiesto più volte anche da artisti famosi, essendo esse attualmente credo troppo basse. Non rimpiango i tempi in cui, da ragazzino, per ascoltare una canzone dovevo aspettare che la passassero radio o TV, o dovevo accumulare i soldi per comprare il CD o magari dovevo farmelo prestare da qualche amico. Tempi affascinanti e magici sicuramente, ma probabilmente lo streaming a volte è anche un tramite per conoscere più facilmente gli artisti e poi acquistare la loro musica fisicamente. Anche se il mercato discografico non tornerà mai ad essere quello di una volta, gli appassionati di musica continueranno ad acquistare CD o vinili, in quanto il possesso fisico dell’oggetto credo e spero sarà insostituibile.

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto di Andrea Barone, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Sicuramente “Feel the wind”, singolo, videoclip e ultima traccia del disco, una ballad pop che chiude un viaggio di rinascita con un messaggio di speranza e positività. Il sound iniziale rilassante del brano diventa poi un po’ solenne con suoni orchestrali e un assolo finale di tastiera, che è il mio strumento. Credo possa essere la conclusione ideale di un concerto, come lo è dell’album.

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