RECENSIONE: ABAN, RAP INFERNO (Sud est records, 2021)

Intervista di Gianluca Clerici

“In un panorama musicale dove la massima aspirazione degli artisti è il binomio fama e soldi, inevitabilmente la musica diventa di plastica e prende la forma della moda del momento”. Ecco la prima frase che ci restituisce ABAN, l’MC leccese che così parla a proposito di questo nuovo bellissimo disco dal titolo Rap Inferno pubblicato da Sud est records e a breve disponibile anche in una preziosa release in vinile

Rap di strada, di quartiere, Rap che dalla provincia spesso poco illuminata fa sentire la sua voce, di rabbia contro il diktat infernale che arriva dal mainstream musicale (e non solo oseremo dire noi altri). Sputa veleno con una ricerca metrica sempre attenta alle assonanze e alle rime come prevede il copione, sottolineando le chiuse del periodo come vuole la regola dell’arte di chi dimostra ancora una volta ampia esperienza nel muoversi dentro questo vocabolario. E cerca la melodia, sempre efficace in questa tracklist di 15 inediti.

La cerca, trovandola in soluzioni dense di sex appeal come nel singolo C’è qualcosa che non va e la trova poi anche dentro i suoni e i tanti arrangiamenti che arricchiscono il classico flow che in questo disco si macchia anche di una ruvida compostezza metal, se ci permettete l’azzardo ispirato forse dalle distorsioni e da quel modo di suonare la voce. Disco sociale sotto ogni punto di vista, disco severo senza quel veleno esplicito di parole cattive e cattive morali. Anzi è proprio alla verità e ai buoni propositi che ABAN torna a porre l’attenzione fregandosene delle tante maschere ipocrite che serviranno per cadere in piedi di fronte alle proprie colpe. E torna il concetto di Lupo solitario, di quella che Federico Sirianni chiama incollocabilità degli individui che cercano la propria strada, la propria ragione, il proprio posto nel mondo.

Rap inferno è un disco importante, forse un po’ troppo denso e un po’ troppo lungo per i nostri standard che prevedono liquidità ovunque Ma è anche vero che è contro questa superficiale liquidità che punta il disto, contro i santi subito, contro il denaro del commercio forte che impone la stupidità come unico punto di arrivo all’educazione di massa. E dentro un suono arrogante, buono per mettere sotto pressione i woofer del buon vecchio impianto di casa (laddove esistano ancora), che il messaggio di ABAN trova pace e terreno fertile, accompagnato dai tanti artisti fratelli di questa vita on the road, dentro i bar di periferia, dentro le trame del proprio “dove la vita si misura davvero ogni giorno e mai dietro i santi like dei social dove tutti, ma proprio tutti, sono artisti arrivati dopo il primo scatto strategico.

Direi che Rap inferno rispolverando le radici vere del genere, da il suo contributo a restituire voce alla radici vera delle cose. C’è mestiere, si respira mestiere, si respira il cemento e l’appartenenza.

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