LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: SERENA

Intervista di Gianluca Clerici

Disco ricco di inquietudine personale ma anche di salvezza, di emancipazione, di libertà. Disco di identificazione personale e ricco di energia nonostante i toni scuri che si dipanano dentro un suono metropolitano, lento, introspettivo e distopico. “Welcome to Wasteland” è il disco di Serena, cantautrice italiana di stanza a Londra che ospitiamo con estremo piacere ed è certo che sarà utile indagare il suo punto di vista attraverso le nostre consuete domande di Just Kids Society.

Iniziamo sempre questa rubrica pensando al futuro. Futuro ben oltre le letterature di Orwell e dei film di fantascienza. Che tipo di futuro si vede oltre l’orizzonte? Il suono tornerà ad essere analogico o digitale?
Nel mio futuro musicale prevedo un ritorno ad un suono più analogico (più chitarre distorte, più batterie gran casse pesanti) ma so anche che le “vecchie abitudini sono dure a morire” e so già che un modo per inserire qualche synth o qualche pad etereo lo troverò.

I dischi ormai hanno smesso di avere anche una forma fisica. Paradossalmente torna il vinile. Ormai anche il disco in quanto tale stenta ad esistere in luogo dei santi Ep o addirittura soltanto di singoli. Anche in questo c’è un ritorno al passato. Restiamo ancora dentro al futuro: che forma avrà la musica o meglio: che forma sarebbe giusta per la musica del futuro?
Per quanto sia un’appassionata collazionatrice di vinili, audiocassette e CD, non e’ fantastico essere in qualsiasi parte del mondo ed avere accesso ad un catalogo enorme di musica? in pochi secondi possiamo ascoltare le nostre canzoni preferite 3 volte di fila o addirittura scoprire nuova musica. Per non parlare della qualità audio che sarà sempre più elaborata e fedele alla versione prodotta in studio di registrazione. Certo con tutta questa “digitalizzazione” viene poi a mancare la parte fisica, qualcosa di materiale da tenere tra le mani, ma per quello che il merchandise e appunto un ritorno alla pubblicazione della musica su disco, vinile ecc.

La pandemia ha trasposto il live dentro incontri digitali. Il suono è divenuto digitale anche in questo senso… ormai si suona anche per interposto cellulare. Si tornerà al contatto fisico o ci stiamo abituando alle nuove normalità?
Non ho mai creduto troppo ai concerti via live stream, anche perché il mio set essendo per la maggior parte elettronico sarebbe andato incontro a troppi problemi tecnici, una qualunque diretta da Instagram non l avrebbe mai sostenuto. Certamente in molti casi (come durante il lockdown) era l’unico modo per suonare di fronte ad un pubblico, ma non credo potrà mai sostituire l’esperienza di un concerto in real life, anche con l’avanzare della tecnologia ed il miglioramento dei dispositivi audio.

Ed è il momento di parlare di questo progetto di Serena. Un lavoro che si nutre di notte e di buio, un suono che si spende dentro la distorsione delle visioni quotidiane… le tue derive poi sembrano essere “macchiate” di rock anche classico, ma sono macchie nebulose, quasi trasparenti. Come fosse un enorme puzzle: come si inserisce dentro una scena ampiamente devota alla musica leggera digitale, immediata e quasi sempre densa di contenuti superficiali?
Mi fa piacere abbiate notato le influenze “rock”, dato che ho iniziato la mia carriera musicale cantando e suonando in cover band di Rock americano anni ’80. Quando compongo mi piace sperimentare con i suoni e scrivere testi impegnati, ma cerco sempre di farlo dentro una struttura Pop, rispettando quanto più posso la formula strofa-ritornello-bridge. L’arte è fatta dalle persone per le persone ed è accessibile e comprensibile da tutti, ma spesso ci si spaventa e si scappa di fronte ad un opera pensando erroneamente “oh no, non ho studiato storia dell’arte, non posso capire questo insieme di macchie colorate”. E qui la mia scelta di cercare di rimanere dentro i confini della musica Pop, intesa come Popular, appunto accessibile alla maggior parte delle persone.

E poi tutti finiamo su Spotify. Parliamo tanto di lavoro ma alla fine vogliamo finire in un contenitore in cui la musica diviene gratuita. Non sembra un paradosso? Come lo si spiega?
Veramente Spotify non è gratis, a meno che non usiate la versione con le ads, ma trovo rendano l’esperienza invivibile se si sta usando la piattaforma per godere del catalogo illimitato di musica. Il concetto delle streaming platforms trovo che sia rivoluzionario e che vada di pari passo con l’evoluzione della tecnologia audio, poiché permette di “prendere in prestito” migliaia di canzoni senza bisogno di un posto fisico dove immagazzinarle, senza usare un Teran di memoria esterna per salvarle. Cio di cui bisognerebbe discutere sono le modalità di pagamento con cui Spotify (ed altre piattaforme) retribuiscono gli artisti. Bisognerebbe riorganizzare la distribuzione delle royalty fees tra songwriters, produttori, interpreti.. e soprattutto domandare di essere pagati di più per stream. Perché $ 0,0084 è davvero un insulto al nostro lavoro.

Dunque apparenza o esistenza? Cos’è prioritario oggi? La musica come elemento di marketing pubblicitario o come espressione artistica di un individuo?
Ho deciso di rimanere un’artista indipendente per avere controllo sulla mia musica e sul modo in cui essa viene distribuita e marketizzata. Per me l’integrità è tutto, nella vita come nel lavoro. E le mie scelte saranno sempre dettate da ciò. La promozione è sempre stata una parte fondamentale per la diffusione di un prodotto (musicale e non) e oggigiorno con i social media possiamo decidere noi la narrazione da seguire quando presentiamo il frutto del nostro lavoro al grande pubblico.

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto di Serena, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Non ci penserei due volte: “Don’t stop believing” dei Journey. Una canzone a cui sono legatissima, perché mi ha accompagnato quando ho iniziato a muovere i primi passi nel mondo della musica, mi ha dato la forza di andare avanti quando nemmeno io credevo in quello che stavo facendo e tutt’ora mi ricorda di continuare dritta per la mia strada sempre e comunque.

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