LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: MAGAZZINO SAN SALVARIO

Intervista di Gianluca Cleri

Il rock prende un potere narrante che personalmente mi affascina tantissimo. Prende quel sapore di casa, di famiglia, di amicizia, quella forza che solo la provincia e i piccoli centri (o quartieri di grandi città) possono far emergere dalle persone. I Magazzino San Salvario sembra portare tutto questo con se dentro il loro stesso moniker, che poi hanno consegnato al loro disco d’esordio… loro che proprio all’esordio non sono, ne di vita ne di carriera. Scanzonata facilità di costume sociale, ironia e un pizzico di nostalgia dentro le ballate. Parliamo di società dunque e indaghiamo con le consuete domande di Just Kids Society:

Questa stagione di Just Kids Society vuol parlare di futuro. Una cosa incerta sotto tanti punti di vista. Parliamo del suono tanto per cominciare. Ormai i computer hanno invaso ogni cosa. Si tornerà a suonare la musica o si penserà sempre più a come comporla assemblando format pre-costituiti?
Il fatto che i computer e la tecnologia abbiano invaso ogni aspetto del nostro quotidiano è un fatto evidente. Ormai esiste un’APP per qualsiasi cosa, anche per svolgere operazioni del tutto elementari. Anche in campo musicale assistiamo ad un abuso di questi nuovi mezzi che rendono estremamente più facile il lavoro, ma la cosa francamente non mi preoccupa ne tanto meno mi scandalizza. Inutile fare discorsi troppo nostalgici o peggio ancora luddisti; il progresso non si ferma! Si tratta solo di imparare ad usarlo in maniera corretta, nella consapevolezza che tanto nessuna nuova invenzione tecnologica potrà mai sostituire il talento, la sensibilità e la creatività. Alla fine è poi sempre quelle cose che fanno la differenza.

Sempre più spesso il mondo digitale poi ha invaso anche la forma del disco. Ormai si parla di Ep, di singoli. Di opere one-shot dal tempo limitato. Qualcuno parla di jingle come forma del futuro. E dunque? Se da una parte c’è maggiore diffusione, dall’altra c’è maggiore facilità di produzione. Dunque… chiunque può fare un disco. Un bene o un male?
Sicuramente un male!!! Una volta per fare un disco ed avere un minimo di visibilità dovevi necessariamente passare tramite casa discografica, e per essere preso in considerazione da un’etichetta dovevi avere alle spalle un percorso di anni, fatto di centinaia di concerti e ore di sala prove. Certo poteva accadere che qualche buon progetto finisse nella pattumiera senza avere la possibilità che magari meritava, ma potevi star sicuro che se un artista arrivava a pubblicare un album allora in qualche modo era valido. Le case discografiche inoltre investivano soldi sugli artisti e ne curavano pure la crescita e l’evoluzione nel corso degli anni. Adesso invece, il fatto che chiunque può prodursi un disco da solo ha fatto sì che questo filtro qualitativo sia totalmente saltato. Dietro ad una apparente democratizzazione della musica si nasconde invece un clamoroso abbassamento del livello; per una Billie Eilish ci sono milioni di prodotti inascoltabili. Oltretutto questa smisurata quantità di offerta rende anche molto più difficile individuare gli artisti che sarebbero davvero degli di attenzione.

La pandemia ha ispirato e condizionato molta parte dell’arte di questo tempo. Ma sempre più spesso gli artisti inneggiano ad un ritorno a cose antiche, ataviche, quasi preistoriche come certe abitudini, come un certo modo analogico di fruire la musica. Insomma, ha senso pensare che nel futuro si torni a vivere come nel passato?
I magazzino San Salvario sono un esempio vivente di come la Pandemia abbia condizionato l’esistenza di molti musicisti. Il nostro progetto è nato infatti proprio durante il lockdown, come reazione al senso di distacco ed isolamento tipico di quel periodo. Mentre fuori tutto era fermo e bloccato noi ci trovavamo al Magazzino a suonare in clandestinità. Da questo punto di vista l’esperienza della Pandemia ha sicuramente riacceso nella gente il desiderio di un ritorno ha modalità di contatto più autentiche e fisiche. Basti pensare allo straordinario boom di pubblico registrato a tutti i grandi concerti e Festival della scorsa estate. Sicuramente il desiderio di una fuga nel passato (spesso idealizzato) è tipico di tutti i periodo storici di grande crisi, quale quello in cui stiamo vivendo. Da questo punto di vista il ritorno di moda di alcuni supporti analogici, come il vinile o la musicassetta, è molto significativo. Tuttavia, per ora la macchina del tempo non l’hanno ancora inventata e quindi conviene vivere guardando maggiormente al presente e al futuro.

Ed è il momento di scendere dentro questo disco. “Magazzino San Salvario” ha il DNA rock italiano, leggero e libero di fare ironia e romanticismo assieme, di essere delicato ma anche sbruffone e beffeggiatore nei confronti della pubblica piazza. Un disco che molti vedrebbero da “boomers” vista la liquida digitalizzazione dei suoni di oggi. Secondo voi come si confronta e che terreno trova rapportandosi alle nuove generazioni immerse nelle velocità più assurde?
Innanzi tutto, come dici giustamente, questo è un disco che alterna una grande quantità di atmosfere e tipologie di canzone. Ci sono brani più profondi ed introspettivi, quali ad esempio “Cose che non ti ho mai detto” che ho dedicato a mio padre, “Oceano Mare” e “Voglia di vivere”; altri brani che invece puntano dichiaratamente alla critica sociale con testi impegnati quali “Cavernicoli”, “Pesci Rossi” o “Abecedario”; ci sono pezzi più ironici e scanzonati, e solo in apparenza leggeri come “Europa chiama Italia” e “Chiamami Alfredo” e poi ci sono perfino due canzoni d’amore, come “Addominali” e “L’altra metà”. Ci piacerebbe davvero che gli ascoltatori potessero apprezzare questa varietà.
Detto questo, è innegabile che noi dal punto di vista musicale siamo figli degli anni ’90; e siamo ben contenti e orgogliosi che questo si senta in maniera forte e chiara. Di sicuro non possiamo ne vogliamo snaturare la nostra identità per metterci in competizione con personaggi sfornati dai talent o per renderci per forza più appetibili al pubblico giovane. Però io di giovani me ne intendo, perché oltre che il musicista faccio anche il Prof. di Lettere e Storia alle superiori, e ti posso dire una cosa. Al di là della distanza generazionale, i giovani sanno riconoscere molto bene se una cosa è autentica e capiscono subito se chi gli parla li sta prendendo per il culo. Creato il rapporto di fiducia, allora poi ti seguono, ti stanno ad ascoltare e ti apprezzano, a prescindere dalla diversità dei gusti musicali.

Anche in questa stagione riproponiamo una domanda che sinceramente non passerà mai di moda anche se le statistiche un poco stanno dando ragione a tanti come noi. Parliamo tanto di lavoro ma alla fine vogliamo finire in un contenitore in cui la musica diviene gratuita. E Spotify è uno di questi. Non sembra un paradosso? Come lo si spiega?
Spotify e gli altri digital store sono solo la punta dell’iceberg del problema. Il castello di carte su cui era fondato tutto il mercato discografico è iniziato a crollare quando nel 1999 il primo file musicale è stato scaricato in rete gratuitamente da Napster. Da quel momento tutto il Mondo della musica ha dovuto ripensare a se stesso in un processo di trasformazione che è ben lungi dall’essere concluso. Dal punto di vista del “Lavoro”, come dici tu, l’esistenza di Spotify per artisti che fanno meno di un milione di visualizzazioni è quasi ininfluente. Per gruppi come i MAGAZZINO SAN SALVARIO la presenza su Spotify è solamente un male necessario: visto che ci sono tutti, allora ci devi essere anche tu; per far sapere che esisti, per vedere il tuo nome al fianco di quello dei Beatles e per dire ai tuoi amici “Hey ragazzi abbiamo fatto un nuovo pezzo, ascoltatelo su Spotify”. Per questo motivi abbiamo voluto a tutti i costi che il nostro Album uscisse anche in CD, per avere in mano qualcosa di tangibile. Un’operazione quasi anacronistica ormai, ma che per noi conferisce solidità e valore, sia pure simbolico, al nostro lavoro.

Siamo nel tempo dell’apparire. Come ci si convive? Si esiste solo se postiamo cose? E se non lo facessimo?
Questa domanda si ricollega a molte cose di cui abbiamo già parlato. Viviamo in un’epoca fortemente tecnologica i mass media tradizionali ed ora i social network la fanno da padrone. La comunicazione tramite immagine e nettamente la più immediata e la più efficace. La transizione da homo sapiens a homo videns è ormai ampiamente iniziata. Ciò che conta è solo la percezione che gli altri hanno di te. Non importa se tu sia felice realmente, importa che gli altri lo credano. Ormai viviamo in differita; non godiamo del momento mentre accade, ma lo fotografiamo per poterlo poi raccontare attraverso i nostri profili social. Sicuramente a livello personale è possibile sfuggire da questo meccanismo; personalmente fino al 2019 non ho mai avuto nè Facebook né Istagram e vivevo benissimo lo stesso. Nel momento in cui però i MAGAZZINO SAN SALVARIO hanno incominciato a fare le cose sul serio, incrementando l’attività concertistica, allora ricorrere ai social per promuovere eventi e postare notizie, è diventato un passaggio quasi obbligato. La verità però è che ritengo assolutamente possibile trovare un giusto compromesso tra un utilizzo funzionale del mezzo senza ridursi però ad una dipendenza tossica. Questo è anche il messaggio che cerco di passare ai miei figli, così come ai miei allievi.

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto del Magazzino San Salvario, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Il nostro fonico dovrà mettere sicuramente una canzone “Grunge”; non tanto per un discorso legato al genere e alle sonorità, ma più che altro per una certa attitudine al modo di intendere la musica. Del Grunge ho sempre amato la grande essenzialità, quella voglia di eliminare tutto ciò che è superfluo, i fronzoli, gli arrangiamenti ridondanti e gli inutili virtuosismi, con l’intento di riportare al centro l’idea di canzone, con il preciso intento di emozionare nella maniera più diretta possibile. Ecco da questo punto di vista possiamo dire che i MAGAZZINO SAN SALVARIO sono un po’ grunge!!! Se proprio devo fare un titolo, allora dico “Interstate Love Song” degli Stone Temple Pilots, per me uno dei pezzi più belli di tutti i tempi.

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