LIVE REPORT: Shout Out Louds @ Circolo degli artisti [RM] – 7/10/2013

Live report di Stefano Serafini

Come ha notato a un certo punto del concerto Adam Olenius, voce e chitarra degli Shout Out Louds, è un lunedì sera piovoso quello in cui la band svedese approda al Circolo, e per questo forse la sala fatica a riempirsi. Con una platea piena a metà partono le note di Sugar dall’ultimo album Optica, uscito a inizio anno. Ci si dimentica subito di essere poco più di una nutrita schiera di amici e ci si fa trasportare dalla musica. Perché ci sono attacchi giusti e attacchi sbagliati nei concerti. Qui l’attacco è giusto, l’atmosfera si crea subito, la carica c’è tutta e a noi viene solo voglia di sentire tutto il resto.

E allora ecco il resto: la bella Fall Hard dal precedente Work del 2010, e la meravigliosa Walking in your footsteps sempre da Optica. Viene eseguita più veloce rispetto al disco, è l’adrenalina del live, che passando attraverso gli strumenti e gli amplificatori si trasmette al pubblico, che inizia a ballare. È la festa degli Shout Out Louds!

Anche i soliti problemi di acustica del Circolo degli Artisti sembrano per una volta non esserci. Il cielo stellato con la scritta SHOUT OUT LOUDS, che si illumina dietro alla band grazie al sapiente gioco di luci, è la ciliegina sulla torta di questo concerto perfetto.

Ora fermiamoci un attimo. Rimanete al terzo brano e al concerto perfetto, che devo dirvi una cosa: quando si ascoltano gli Shout Out Louds per la prima volta è impossibile, a meno che non sei un fan dei Ricchi e Poveri, non associare la voce del cantante a quella di Robert Smith. Ecco, fino alla terza canzone tale somiglianza non si palesa. Il che, per quelli che usano la parola “plagio” quando parlano di somiglianze nella musica, è una nota positiva. Per me invece, che per fortuna non faccio parte di questo club e che soprattutto amo i Cure, no. Non mi frega niente che questo c’ha la voce uguale. Anzi, mi dà i brividi come quella di Smith. Cosi brillo di felicità quando parte Normandie, che si ispira praticamente in tutto ai Cure. Ma non sono solo, a guardarmi in giro.

In ogni caso, Cure o non Cure, qui stiamo ballando forte. 14th of July che potrebbe essere benissimo suonata il sabato sera al Lanificio è una bomba, cosi come Impossible (ancora da Our III Wills), dove l’intensità dei 5 Svedesi, che gli stereotipi ci dicono essere freddi e poco coinvolgenti, arriva al culmine.

Culmine che è quasi sempre anche sonoro in questo genere di musica, e culmine sonoro significa acustica fastidiosa al Circolo. In questo caso è la batteria, ahimé, a essere mixata troppo alta in volume. Lo suppongo durante Impossible dove in effetti il batterista mena duro e me ne accerto con Very Loud dove l’andamento country del ritmo va a coprire un po’ tutto.

Very loud dal primo album Howl Howl Gaff Gaff però è un gran pezzo, perciò come ci siamo dimenticati che fuori piove, che è ancora lunedì e che dentro siamo un gruppetto di amici, ci dimentichiamo anche del suono e ci godiamo questa band, che diciamolo pure: sta dando tutta se stessa. Vengono allora eseguiti gli ultimi due brani Chasing the Sinking Sun da Optica e la hit Tonight I’ve to leave it che non a caso chiude il concerto.

E su quest’ultimo brano proprio per dare tutto se stesso, Olenius vuole unirsi a noi, a quei pochi ma affezionati fan di Roma. Allora tenta uno stage diving, ma capisce che potrebbe finire come Jack Black in School of Rock, allora decide di scendere tra il pubblico, in tripudio, ha un faro in mano e ci illumina mentre continua a cantare a loop “…give love, I want you give love….” e noi glielo abbiamo dato questo amore (certo nei limiti del possibile e della decenza), glielo abbiamo dato a tutta la band, cantando, ballando ed emozionandoci fino a farci venire la pelle d’oca.

Il concerto regolare finisce cosi, gli Shout Out Louds salutano e se ne vanno. Nei bis non ci saranno purtroppo altri brani di Optica, che poteva essere sviscerato di più, questo, si, è davvero l’unico appunto. Invece suonano Walls ancora da Work, e Please Please Please, brano del primo album con il quale li ho conosciuti e dove alla fine di tutto, prima di tornare nelle nostre case dove il lunedì sera ha ceduto il passo al martedì, quel “please please come back to me” siamo in realtà noi spettatori che lo diciamo a loro.

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