Live report di Francesca Amodio
“Te che spendi stipendi stipato in posti stupendi, tra culi su cubi succubi di beat orrendi, succhi brandy e ti stendi, dandy, non mi comprendi, senti, tu non ti offendi se ti dico che sei trendy?” cantava Caparezza in Fuori dal tunnel nel lontano 2003, e “dandy” è l’aggettivo con cui suole definirsi il cantautore Patrizio Maria.
Siamo all’Odd Room, nel cuore del quartiere romano di San Lorenzo; il locale ha una calda atmosfera irlandese, ragion per cui non manca ottima birra e ottimo pubblico, accolto da un Antonio Diodato in veste di direttore artistico.
Marchigiano di nascita ma adottato dalla capitale ormai da molto tempo, Patrizio Maria è uno di quei cantautori che sfuggono a ogni etichetta: parlare di lui come del cantore del dandismo, dei muffin, delle Converse, di Ivan Graziani, delle innumerevoli collaborazioni importanti sarebbe come parlare di Fellini avendo visto solo 8 e 1/2, di Duchamp avendo ammirato solo l’Orinatoio o di Londra avendo passeggiato solo a Piccadilly. Insomma, sarebbe solo un blaterare incompleto e ripetitivo.
Fin dalle prime note l’ascoltatore capisce che il mondo in cui verrà catapultato dal cantautore per due ore e trenta minuti ininterrotti di concerto non è esattamente quello su cui poggia i propri piedi. Accompagnato da Stefano Corrias alla batteria, Fabio Frombolini al basso e Francesco Marino alla chitarra, Patrizio trasporta il suo pubblico in una realtà giocosa, arrabbiata, ruvida e dolce in cui tangibile è il convivio tra cinema e letteratura. Il cantautorato di Patrizio è bello e restio a scaffalature proprio perché, nonostante il bagaglio culturale che emerge dai testi giullareschi alla Dario Fo e da un sound che come un cupcake è morbido e tosto a seconda delle esigenze, l’impasto che ne esce è semplice, senza borie né morale. Al massimo qualche picconata d’ironia che taglia la pelle quanto basta.
Un risultato che viene dalla crescita con una mamma artista – la pittrice Gabi Minedi, autrice della copertina del singolo Killer – dall’aver avuto un maestro come Ivan Graziani, da una passione per il cinema che frutta a Patrizio una laurea, da una passione per i viaggi e per un nomadismo culturale che porta la sua testa ad aprirsi come una matrioska ai sound più disparati e a farli convivere, forse non sempre pacificamente, in un album che non a caso è confused.
Il live prosegue con il brano Lugano addio, omaggio a Ivan Graziani, a cui ne segue uno a Elvis con Blue suede shoes. Ospite della serata è l’amico Andrea Rivera: ebbene, questi due giovani cantautori hanno dato prova di quanto sia tangibile la differenza tra squallidi e improbabili duetti tristemente imposti da case discografiche disperate e un sodalizio artistico determinato da un’amicizia sincera. Tra sguardi d’intesa e prese in giro, la chitarra di Patrizio accompagna Andrea in due spassosi mini monologhi sulle strade di Roma e sui medicinali, creati su pastiche linguistici alla Bergonzoni. Irriverenza non priva di sguardo critico sulle assurdità della società odierna, Andrea li ha incisi nel disco Verranno giorni migliori.
Patrizio chiude il live con il suo ambo vincente, Io c’ho l’ansia e Sociopatica, e su quest’ultimo chiama a duettare l’amico Diodato. Insieme salutano il pubblico, che nel frattempo da fuori spinge i nasi freddi contro le vetrate del locale pieno di gente e di buona musica. Patrizio continua a suonare in giro per l’Italia e nel frattempo lavora al suo nuovo album, previsto per la fine del 2014: Dalle scarpe al cuore.
Foto di Enrica Martiradonna