LIVE REPORT: TYCHO @ESTRAGON – 20/10/2014 [RM]

TYCHO: VARIAZIONI LUMINOSE

di Alina Dambrosio

20 ottobre 2014: tipico lunedì bolognese. L’Estragon a stento si vede, avvolto dalla nebbia. Poi dei suoni si riconoscono chiaramente. “E’ Tycho!”. Mi faccio spazio nella folla, in fondo è bello guardare chi quei suoni li crea. Un uomo elegante, un californiano chic, proprio lo si riconosce in quelle melodie. Attraverso i visual ci invita in distese californiane entrando in punta di piedi con Adrift: echi che portano lontano e una ritmica che scuote le anime quasi in un trip-hop. Ad accompagnarlo il basso di Joe Davancens e la batteria di Rory O’Connor e chitarre e tastiere che si alternano nella prima parte del concerto. L’approccio, oltre che essere più strumentale in senso letterale, è sicuramente più ambient e ciò non dispiace, per certi versi malinconico ma senza strappare il sorriso. Un contrasto netto tra il grigiore e il freddo esterno e la luce di quelle melodie, in particolare si intravede nella delicatezza di A walk, che richiama atmosfere oniriche alla Boards of Canada, caposaldo per Tycho. Tutto si risolleva dapprima con L e poi con Spectre, che conclude la prima parte del live e risolleva gli animi del pubblico. È stato un concerto di nicchia per certi versi, magari ci si aspettava il sold out, ma considerando che si trattava di un inizio settimana il risultato ottenuto dall’organizzazione del Locomotiv è stato ottimo.
Richiamato a gran voce, Tycho rientra questa volta solo e si concentra per lo più sull’ultimo album Awake, eseguendo il remix del brano omonimo in un connubio tra post-rock e chillwave. A Montana tocca chiudere il sipario.
A volte le soluzioni sonore adottate si dilungano troppo, uguali a se stesse. La difficoltà nei pezzi che raggiungono gli 6-8 minuti circa sta nel non cadere nella monotonia, è necessario un pizzico di imprevedibilità sul percorso che il brano farà. Sicuramente più riusciti pezzi come Dye che si evolve nel suo farsi mantenendo una ritmica di base. La combinazione tra musica e design, data l’attività di Scott Hansen anche come designer, è evidente nella geometria dei suoni tanto che l’estetica risulta virtualizzata. Proprio da questo punto di vista non gli si può dir nulla: è trasognate, elegante nelle sue variazioni dream pop. Non si rimane, dunque, con i piedi fissi sul suolo. Non si raggiunge la terra in profondità. È forse questa la sua unica pecca, a parere di chi scrive, dona assaggi di atmosfere più rarefatte come in Hours ma non riesce a trasportarci pienamente nel vorticoso viaggio nell’intimità, probabilmente anche per una concreta questione temporale: un’ora e venti circa di concerto.

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