Scendo a fare le spesa, mi dice Katia, afferrando la giacca di pelle dalla sedia in cucina, mi dai dei soldi? Mi ficco le mani in tasca e tiro fuori venti euro; però, le dico, prendi anche una bottiglia di vino, ok…non troppo scadente. Katia apre il portafoglio zebrato infilandoci dentro la banconota blu, mi dà un bacio sulle labbra e scende tirandosi dietro la porta.
Faccio in tempo a darle una pacca sul culo che mi ritrovo solo in casa con le mie ossessioni e miei demoni, tutti appollaiati nei cassetti, sotto i tavoli, dietro le sedie. Dietro le porte. Dentro gli armadi. Prendo il portatile e butto giù qualche haiku, ho freddo, le mani mi tremano e ho voglia di scolarmi un paio di bicchieri. Metto su un pezzo dei Songs Ohia e cerco di rilassarmi. L’inferno è a portata di mano, e ritrovarmi da solo non fa che acuire questa lunga discesa verso il fondo.
Penso a Katia, ai suoi jeans stretti tra le cosce, alle sue tette appuntite, alla sua figa profumata di mandorla, ai suoi capelli sciolti sulle spalle, cerco di ricompormi, vado al cesso a pisciare, mi lavo il viso con l’acqua calda, mi dico: lei ti ama, cosa cazzo vuoi di più? Mi dico: sei fortunato ad averla coglione!
Katia che da poco si è fatta un altro tatuaggio sulle braccia. Katia che ama il balletto e la musica tecno. Katia che quando sorride ammanta di futuro i miei occhi scavati. Katia che lavora come commessa, ma che in realtà vorrebbe restare in casa e crescere una vagonata di marmocchi. Katia che non fuma, e adora la cioccolata, ma non può mangiarla per un’allergia alla pelle. Katia e le sue emicranie che le passano solo quando scopa.
Sono fortunato ad averla, mi ripeto, e proprio in quel momento sento la porta sbattere.
Sono tornata, strilla dalla cucina ma non mi alzo dal divano recuperato in via Galeazzo Alessi, secondo bidone sulla destra. Poi però mi torna in mente il vino che le avevo chiesto di comprarmi, e con un balzo mi tiro su facendo fatica a restare in piedi. Barcollando mi avvio in cucina, Katia mi sorride stringendo bottiglia in una mano e apribottiglia nell’altra. Afferro entrambi gli oggetti e in un lampo stappo la boccia, prendo due bicchieri e verso per entrambi.
Cos’hai? sbotta al secondo bicchiere vedendomi cupo come un gufo appollaiato nella notte. Non lo so, ho bisogno di…, ma non finisco la frase, interrotto dal terzo bicchiere che sbatte sui denti e dal vino che scorre nell’ugola.
Ti va di mangiare? mi chiede cercando di assecondarmi. Non lo so, ho solo voglia di bere, brontolo cercando di non offenderla. Tra un po’ vado a lavoro, mi dice, e inizia a sistemare la roba nel frigo, sputando i pochi spiccioli di resto sul tavolo graffiato.
Io e Katia viviamo insieme da pochi mesi, e di comune accordo abbiamo deciso che io tiro fuori i soldi per mangiare e bere e lei quelli per le bollette. Spesso passiamo le serate a ubriacarci, e quando scendiamo ce la spassiamo da Baratta, un bar della zona che vende bicchieri di vino a un euro e birre a due.
Allora cos’hai? mi richiede cercando di scucirmi qualche parola.
Cazzo, non lo so…è solo che…., ma ancora una volta non finisco la frase, e butto giù un altro bicchiere stringendo nella mano la bottiglia come fosse un trofeo. L’aria si fa allo stesso tempo pesante e vuota. Come me. Come questa sera. Come le pareti ancora senza quadri di questo terribile appartamento.
Mi dico: almeno c’è lei.
Mi dico: cosa cazzo ti manca?
Allora vuoi dirmi cos’hai? ribecca Katia come un picchio.
Cazzo, t’ho detto che non lo so, dobbiamo per forza parlarne?
Fa’ un po’ come vuoi, sbarella e s’infila nel cesso per prepararsi mentre io con la bottiglia in mano mi butto sul divano per vedere un po’ di tv. Sono ormai sei mesi che bivacco per casa senza un lavoro. Dall’ultimo, dove facevo il cameriere, mi hanno sbattuto fuori dopo che avevo mandato a fanculo il capo che voleva sistemassi i tovaglioli precisi al centimetro all’angolo del tavolo. Che differenza fa? gli chiesi. È una questione d’immagine, sbrodolò lui. Immagine un cazzo, feci io, prima dovresti tirare a nuovo questo cesso, e senza lasciare che lui ribattesse qualcosa alzai i tacchi e uscii da quel buco di merda dov’ero costretto a mentire sulla qualità del cibo. Adesso è Katia che lavora, e io ho finito anche i miei ultimi risparmi. Quelli che le ho dato prima erano gli ultimi venti euro che avevo. Ora non ho più niente, tranne il suo amore e questa bottiglia di vino. Mi scolo un altro bicchiere e resto a bivaccare sul divano alzandomi solo per andare a pisciare. Poi Katia arriva e mi saluta. La bacio sulla fronte e le dico di non preoccuparsi: sono solo un po’ giù di corda, confesso, ma va tutto bene! Lei mi guarda con i suoi occhi neri, dice che mi ama e tirandosi via la borsa dalla sedia sparisce per andare a lavoro. In fondo mi conosce bene e sa che non le sto dicendo tutta la verità. Ancora una volta mi ritrovo solo in casa con le mie ossessioni e miei demoni, tutti appollaiati nei cassetti, sotto i tavoli e dietro sedie, dietro le porte. Dentro gli armadi. Persino sotto il mio culo. Prendo la bottiglia e mi ci attacco a imbuto. Domani andrò a cercarmi un lavoro, mi dico, domani sicuro andrò a cercarmi un lavoro…domani però…lavoro un cercarmi a andrò sicuro… domani, e mi addormento sul divano con la faccia spappolata nel telecomando e la bottiglia di vino vuota ficcata tra le costole.