Recensione di Gustavo Tagliaferri
Demetrio Stratos, allora, lo aveva capito più che bene: Cantare la voce. Certo, come pratica è più unica che rara, incentrata come è su studi complessi ed articolati al punto da durare più di quanto ipotizzato inizialmente. Ed è proprio per questo che i risultati di quanto compiuto da Claudio Milano, artista dalle molteplici sfaccettature, per come si siano visti in svariate circostanze si possono considerare favorevoli e di pari passo con intenzioni come quelle di Stratos, per quanto non solo intesi come ricerca vocale. Milano è NichelOdeon, ma anche InSonar. Di conseguenza, può Milano essere unico e duplice al contempo?
Con Ukiyoe, disco in esame, evidentemente sì, in quanto sdoppiamento delle identità dell’artista che porta ad un’affermazione definitiva delle capacità da esso dimostrate fino ad ora. Archi e chitarre, natura e civiltà, in un coacervo basato tanto sull’improvvisazione, come in una Veleno che funge da invito a nozze tra classica, lirica e celtica ed a sua volta lascia che a subentrare sia improvvisamente una chiosa particolarmente gotica, quanto su possibili sintonie tra mondi apparentemente disgiunti, vedesi il passaggio di Marinaio da rumorismi celanti un’idea alternativa di rock ad un tripudio corale a metà tra mazurke rallentate e balli tzigani, a loro volta parte integrante di un percorso che vede una tarantella sbilenca come Ohi mà, cantata in siciliano come in italiano, lasciando spazio nel proprio viaggio anche a mantra elettronici, sopiti, con un accenno di dadaismo che trovano rifugio nella maestosità tanto cara ad un’orchestra che, in Fi(j)ùru d’acqua, si fa largamente strada, prima che la conferma possa avere luogo con la sintonia tra trip hop, fiati jazz ed urla interstellari di I pesci dei tuoi fiumi.
Ne conviene come, in un’ipotizzabile metamorfosi di NichelOdeon in InSonar, la suite di MA(r)LE risulti, tra Tsunami!, Into The Waves e Mud, il trionfo del situazionismo, dell’improvvisazione, dell’elettronica e del rumorismo, il trionfo della parola in quanto parte di quella comunicazione tanto cercata sin dal principio, il trionfo di voci la cui malleabilità è colma di pathos e tragicità nel corso di tanghi romantici, lenti, quasi destrutturati, là dove il bandoneon si confonde con gli archi, il trionfo delle distorsioni atte a rappresentare la simultaneità dei concetti di musica e silenzio, e a sua volta il trionfo della ricerca in tutte le sue sfaccettature, un’esplosione della durata di neanche venti minuti. A fare il resto sono i fermi immagine di Francesco Paolo Paladino che, immortalando la difficoltà della comunicazione e della vicinanza tra uomo e donna per poi giungere al consolidamento in quel del cortometraggio Quickworks & Deadworks, a loro volta sottesi dalle onde del mare, dall’incessante flusso del vento e da canti irlandesi suonati con l’ausilio di sole percussioni.
Un quadro strano, inusuale, lontano da barocchismi, vasto almeno tanto quanto la curiosità che può incutere, quello di un lavoro come questo Ukiyoe. Ma proprio per questo degno di considerazione, magari non solo per gli amanti del genere.
NichelOdeon / InSonar – Ukiyoe (Mondi Fluttuanti) (+ Francesco Paolo Paladino – Quickworks & Deadworks)
(Snowdonia, 2014)
1. Veleno
2. Fi(j)ùru d’Acqua
3. Marinaio
4. Ohi mà (Nel mare che hai dentro)
5.I pesci dei tuoi fiumi
6. MA(r)LE (Sea/Evil)
a) Tsunami!
b) Into the Waves
c) Mud