Intervista di Gianluca Clerici
Di Davide Buzzi scopro con gran piacere il bello di sapere che il rock, quello antico, quello accademico, non è mai sparito, neanche per un solo istante dalle vene dei cantautori della nuova scena italiana. Un video di lancio che ad oggi conta più di 550 MILA visualizzazioni, un nuovo disco dal titolo “Non ascoltare in caso d’incendio” e un piglio on the road all’italiana maniera, segno di non volersi svendere al facile inglese ma anche eterno debitore ad una scuola che ha segnato in eterno la vista e la scrittura di tutti. Curiosi di conoscere le sue risposte alle consuete domande di Just Kids Society:
Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Il mercato discografico – e di riflesso la professione di musicista, cantante o autore – in questi trent’anni è cambiato notevolmente. Oggi fare l’artista è un privilegio che si deve sostenere quasi sempre facendo anche un altro lavoro che possa garantire il sostentamento.
Un artista porta sempre dentro di se un certo egocentrismo; non è possibile scrivere delle canzoni o altre opere se non si ha il fuoco sacro di voler portare il proprio lavoro al cospetto del pubblico. Purtroppo però spesso la realtà si presenta con il suo volto più spietato, non permettendo di tramutare in una professione questa passione e obbligando il musicista a fare musica più che altro per se stessi e non per il pubblico.
Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Non è colpa di nessuno. È il mondo che cambia. Le nuove tecnologie hanno mutato i modi di diffusione e fruizione del prodotto musica. Certo, TV e radio un po’ c’hanno anche messo del loro, dando spesso spazio a prodotti dozzinali a scapito della qualità. Ma comunque la questione è più complessa. Certo è che il pubblico oggi tende piuttosto ad accontentarsi di quanto gli viene proposto dai media invece di provare ad andare alla scoperta di cose nuove e magari meno stereotipate.
Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
Come ho già detto in parte sopra in parte, è piuttosto l’informazione che “educa” il pubblico.
Questo disco di Davide Buzzi fa il solletico alla bella tradizione italiana ma la colora di una personalità efficace ma forse appena fuori dalle “mode” del mercato. E quindi ti chiedo se in qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Di una cosa sono sicuro, non ho mai seguito le mode e non ho mai inseguito il mercato.
Nessuna resa e niente! Io ho voluto creare un’opera che prima di tutto rappresentasse in toto la mia personalità. Naturalmente il desiderio di arrivare al cuore della gente c’è sempre, ma credo che la sfida più bella sia sempre quella di stare il più possibile fuori dal gruppo. A volte ci si riesce, a volte meno. Spero, con “Non ascoltare in caso d’incendio”, di essere riuscito nell’ardua impresa.
In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Fare dei soldi e sopravvivere al proprio ego.
E se avessi modo di risolvere questi problemi, pensi che basti?
Non basta mai. Una volta risolto un problema ecco che subito se ne presenta un altro.
Meglio prendere la vita come viene, un passo alla volta e con serenità, lasciandosi sorprendere.
Finito il concerto di Davide Buzzi: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
“Born to run” di Bruce Springsteen oppure “La marcia di Topolino”.