Recensione di Gustavo Tagliaferri
Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, direbbe l’Avvocato. O semplicemente con quella necessità di trasgredire da buon cosmopolita quale è che un simile viaggiatore si presenta, senza un cappello da cowboy né tantomeno un sombrero delle sue amate terre solcate più e più volte a livello di psiche e non solo.
Le gesta di Antonio Gramentieri non sono fatti alieni ai più, considerata l’alta caratura di cui dispongono le opere dei suoi Sacri cuori, da sempre ideale colonna sonora di esperienze mai fini a loro stesse, così tex-mex eppure così variegate a loro volta e quindi tali da emanare una mai stantia vita propria, sempre differente e luccicante. Don Antonio, appunto, un signore d’altri tempi al contempo non proprio ben voluto da quella che oggi potrebbe essere considerata come la moderna borghesia, un Don Antonio che con il suo primo album solista, ma neanche tanto solista, non abbandona affatto le correnti che maggiormente lo caratterizzano, semmai predilige il concepimento di mille e non più mille istantanee che potrebbero ben rappresentare il senso dell’avventura di un individuo singolo.
Uno scatto dietro l’altro da ogni parte del mondo, senza lasciarsi sfuggire alcuno di quei sapori che compongono la vita di un esploratore musicale che in più di un’occasione trova al proprio fianco un narratore, che sia Hugo Race, che del viaggio ne ha fatto una ragione di vita a sua volta, vedesi la traversata di Sera, una spedizione all’interno di una tribù di nativi americani fatta di fingerpicking e violini qua e là, oppure la sommessa e lapidaria Chiara Macinai, abile a tessere le gesta di Ramon, calvario a mò di tamburo battente dalle tinte arabeggianti; un’esperienza che è fatta di intimità, dall’acustica Alma, che sembra chiamare a sé il Lucio Battisti di Emozioni ed il folk d’autore di Nick Drake per poi fonderli con la tradizione popolare, che se non è incentrata sul Sud è tale da riecheggiare, oltre che il Messico, un po’ di Francia, a quella stessa Francia la cui fisarmonica à la Les Negresses Vertes guadagna terreno appena incombe l’andamento in levare di una Soukana a sua volta infestata qua e là di influssi elettr(on)ici e scacciapensieri accattivanti, raggiungendo al contempo una solarità che costituisce il nucleo della rilassata Sunset, Adriatico, fischiettii western che si confondono con sapori hawaiani ma anche di sfide atte a rompere il muro del silenzio della vita di tutti i giorni, come nelle atmosfere jazz di Oh La La che soavemente paiono annegare, come ideale fonte di consolazione, il vociare tipico di un tran-tran quotidiano non esclusivamente di scuola sicula, oppure ne Il turco, cadenzato e spiritato stomp’n go che funambolicamente sorregge un accenno di manouche à la Django Reinhardt a sua volta soffocato da intuizioni tipiche del Tom Waits sperimentale.
La necessità di porre un freno a tutto ciò attraverso l’arte del ballo è consequenziale e segue una corrente che va dalla marcia di Mestizo, che passa da un sopito meltin’ pot in salsa tropicalista tra country e progressive rock ad un tono maggiormente ritmato, certamente non meno mosso dal coacervo di sassofoni e trombe, al mambo schizzato e rumoroso che si è intenti a danzare, accompagnati da un assolo di Hammond con tendenza ai Doors più che ai Cream, in quel di La Pulga, fino all’apoteosi rappresentata dal twist caldo, elettrificato ed esotico che ruota attorno a Baballo e dalla sinergia satolla di ruralità ma rimarcato da un serrato sapore industriale, di Amorcantando, che traccia con il suo ritmo incessante una linea di natura post-moderna, rappresentata da un’improvvisazione il cui groove porta a sé mariachi, flamenco, rumba, persino echi di Grecia. Rimangono, con la loro vena nostalgica, il background altrettanto mariachi dello spaccato decadente di Lontana, con lo struggente contributo vocale di Cesare Basile, e la conclusiva Adelita, ballata tout court del lotto, come ideali ciliegine sulla torta di una prova in solo dove Don Antonio non si smentisce minimamente e dona ai più curiosi un repertorio affascinante e di immediato impatto, la cui versatilità probabilmente non verrà subito compresa dai provinciali di turno, ma che comunque sia non può passare inosservata. Un disco splendido.
Don Antonio – s/t
(Santeria, 2017)
1. Sera
2. Oh La La
3. Amorcantando
4. Il turco
5. Baballo
6. Alma
7. Soukana
8. Ramon
9. Sunset, Adriatico
10. Lontana
11. Mestizo
12. La Pulga
13. Bakali
14. Adelita