Intervista di Nicola Buonsanti
Parco sofia è stato accolto molto bene dalla critica ma è il pubblico nei live a sancirne la vera essenza.
La scena napoletana sta vivendo un momento di forza incredibile. Ho avuto il piacere di poterne parlare con Roberto Colella de La Machera.
La maschera a Napoli è una cosa seria. Come mai avete scelto questo nome?
All’epoca ero iscritto all’università di Napoli, ero molto attratto dal concetto di maschera e dai significati che essa racchiude appunto. Maschera vuol dire persona in greco, ho pensato potesse essere giusto per il progetto musicale
Cosa studiavi?
Lingue indirizzo Lettere e Filosofia, ho lasciato gli studi poi per dedicarmi ad altro.
Ti è rimasto qualcosa di questo periodo o è stata una parentesi inutile?
Inutile per modo di dire, sicuramente in quel periodo ho capito ed assorbito cose che mi sono servite a capire molte cose, in primis il fatto di cominciare a scrivere in napoletano.
Quando ho iniziato a scrivere mi sentivo esterofilo, provavo a scrivere in inglese, in italiano come se riconoscessi tutto quello che venisse da fuori come qualcosa di migliore rispetto alla mia realtà.
Studiando Shakespeare mi ha colpito molto il fatto che lui diceva che il modo migliore per esprimere se stessi ed essere soprattutto riconoscibili a se stessi è farlo nella maniera e nella lingua in cui si pensa. Io sono Napoletano fino al midollo quindi è facile intuire com’è andata a finire.
Hai iniziato a scrivere a vent’anni. Com’è stato il primo approccio al testo e alla parola?
Non me ne sono nemmeno accorto a dire il vero.
Ho scritto ‘pulcinella’ e so che mi sono molto divertito molto a farlo.
Pulcinella è ormai un marchio di fabbrica che parla di questo anti eroe, come spesso anche tu l’hai definito. Una storia leggera ma che lascia l’amaro in bocca. Com’è nata?
Oggi a Napoli le maschere o le convenzioni sono diventate stereotipi che danno anche un po’ fastidio. Lo stesso Pulcinella è usato in quel testo per far cantare alla gente qualcosa che sembra allegra ma alla fine allegra proprio non è.
“i me ne vac ca strada mia” racchiude l’atteggiamento che ha spesso distrutto Napoli, l’aver pensato prima a se stessi e mai a qualcosa che potesse far bene anche agli altri.
Pulcinella è quindi quel mix di allegria e malinconia, che non è da confondere con la tristezza.
Questo mix appunto è il mio modo di vedere Napoli
C’è una canzone del primo disco che può essere considerato il “Manifesto Maschera”, magari per chi si imbatte in voi per la prima volta?
Del primo disco sicuramente Pulcinella può essere considerata come tale. Ha delle caratteristiche per esserlo: la semplicità anche dal punto di vista armonico ed il fatto che nel suo ritornello riesce ad esprimere uno dei pensieri chiave del disco con semplicità e spensieratezza appunto.
Con Parco Sofia invece anche dal punto di vista musicale siete diventati molto più ricchi. Non avete perso quella chiave apparentemente semplice ma siete diventati sicuramente più complessi e dichiaratamente contaminati dall’Africa. Com’è nata la collaborazione con Laye Ba?
È nata per caso. Ci siamo incontrati ad un concerto a Piazza Dante a Napoli, lui si è avvicinato dopo la nostra esibizione e mi ha detto che si era sentito in Africa durante il concerto anche se la matrice africana non era ancora presente o consapevole nelle nostre composizioni. Il giorno dopo ci siamo incontrati senza realmente conoscerci a casa sua, ovviamente io avevo la chitarra con me, ci siamo seduti ed è nata l’introduzione di “Te vengo a cercà”, poi è arrivata tutta la canzone e da allora abbiamo iniziato a collaborare in maniera più stabile.
Avete fatto anche un viaggio in Senegal. Perché secondo te c’è questa affinità elettiva tra Napoli e l’Africa?
Laye Ba non tornava a casa da tempo e noi abbiamo sfruttato l’occasione per accodarci. La musica del Senegal e del Mali mi incuriosiva da tempo ed ho avuto la possibilità si approfondirla.
Per quanto riguarda le affinità, Napoli è un porto di mare, colonizzata più volte tanto da rendere difficile poterne definire il padre o la madre. La cosa miracolosa è appunto riuscire a mantenere un’ identità forte. Cosi come in Africa. Ci accomuna sicuramente il fatto di sentirci entrambi il Sud del Mondo ed il fatto di avere una forte componente ritmica nel processo compositivo.
E’ difficile da spiegare ma si percepisce, è qualcosa che sicuramente arriva dalla terra e dal mare.
C’è un bilanciamento di tradizione ed innovazione nella vostra musica. Voi insieme ad altri colleghi (Foja, Gnut, Primo, Di Bella, ecc) siete la nuova faccia di una Napoli artistica in continuo fermento. Com’è il rapporto tra le nuove generazioni di musicisti e cantautori e chi prima di voi è stato innovazione ed ora è considerato tradizione? È un peso?
Io preferisco non pensarci altrimenti vivrei scoraggiato immaginando i geni partoriti da questa terra, penso che sia così anche in altre parti d’Italia ovviamente.
C’è questo video in rete, di un duetto bellissimo de La Maschera ed Enzo Gragnaniello in una versione emozionante di un brano incredibile di ‘Stu criatu’ per il programma Vulcanici. Questo video (Clicca QUI) è un po’ il senso della domanda di prima.
Si, lui è uno dei grandi poeti di Napoli, un artista incredibile.
Stu criatu è un brano che mi sta particolarmente a cuore e poterlo eseguire con lui è stata un’esperienza indescrivibile.
La sua personalità si respira nelle sue canzoni, cosa non scontata per i musicisti. Spesso le canzoni ti ingannano o come diceva Pino Daniele in Keep On Movin, e canzone te fanno fesso, che probabilmente è una grande verità.
Con Gragnaniello invece è il contrario, lui è perfettamente in linea con quello che scrive, la sua è una personalità poetica dentro e fuori la musica.
In “Palomma ‘e mare” e “Senza fà rumore” ci sono due altissimi momenti di un altro gigante, Daniele Sepe. Con lui partecipi anche in altri progetti musicali.
Con Daniele più che collaborazione musicale io la definirei collaborazione umana. Una persona che stimo tantissimo. Un musicista grandissimo ed una persona coerente.
Mi ritengo fortunatissimo di avere nel disco due dei soli più belli che io potessi desiderare
Ci sono realtà partenopee che stanno decisamente spopolando per varie ragioni. Liberato ad esempio, cosa ne pensi?
Io credo che sia una delle tante facce di Napoli, non credo ci siano dei grandi fenomeni poetici in Liberato ma sicuramente c’è tanta poesia nei Video di Francesco Lettieri, per me è quello il vero progetto Liberato. È sempre bello a prescindere vedere Napoli esportata.
Siete molto attivi sul vostro territorio a sensibilizzare anche attraverso la musica realtà sociali trascurate o dimenticate. In molti vostri brani coniugate storie divertenti e problemi sociali molto delicati. È un dovere per un artista far denuncia attraverso la musica e metterci la faccia?
Probabilmente non c’è una canzone in grado di cambiare le sorti della politica o dell’umanità. John Lennon ad esempio non ci è riuscito o Bob Marley, ma se c’è anche una piccola possibilità di far riflettere la gente anche per un solo momento per me è già da considerarsi una vittoria. Se in qualche modo è possibile contribuire con la musica per cause a cui credo io onestamente lo voglio fare.