Intervista di Gianluca Clerici
Furia. Un nome assai strano per un gentil sesso che trova la via della parola romantica e del suono pop. Dunque lei è FURIA, milanese vestita da Corto Maltese, esordiente ad oggi con questo disco dal titolo “Cantastorie”. La radice classica del tutto non le manca e non fa cenno di ignorarla in vista di chissà quale trasgressione. Elettroniche si ma di maniera in linea con ricordi dei nostri tardi anni ’80 e qualcosa che sia di collegamento con l’attualità. Un disco guidato dal Maestro Luigi Albertelli che tra le righe di ogni brano ha tanto da darci e da raccontarci. Le consuete domande di Just Kids Society:
Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Io non vedo due facce di una sola medaglia. Ma vedo un bellissimo cammeo. Un tutt’uno. E’ un lavoro su se stessi che genera vita. Fare musica non è prettamente un lavoro ma è la propria vita. Se si pensa che qualsiasi cosa che viviamo, che sentiamo, proviamo, vediamo può far nascere una canzone…
Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Darei più che altro la responsabilità alle case discografiche che si sono affossate da sole nel momento in cui non hanno più dedicato tempo e rischi alla musica. Ma si sono dedicate a cercare di fare cassa (cosa che fino ad ora non gli è riuscita). Il pubblico, forse, se ha colpa, ha solo quella di subire tutto ciò che gli viene propinato senza reagire e incazzarsi. Le grandi radio, poi, tutte le più importanti, continuano, per interesse, a far girare gli stessi pezzi centomila volte al giorno (mi hanno detto a pagamento). Di conseguenza non educano l’ascoltatore e non gli danno modo di scegliere la musica che magari vorrebbe ascoltare. L’omologazione abbassa il livello, la qualità. Stessa cosa la si può girare negli altri ambiti culturali.
Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
La domanda alla Marzullo mi piace, anche se la devo rileggere più volte per capire da dove iniziare e come rispondere. Ok. All’informazione, ultimamente, credo che poco interessi educare il proprio pubblico. Più che altro lo vuole rincoglionire. Siamo ad un punto dove informare si è trasformato in giudicare e dare il proprio parere sempre e comunque.
La musica di Furia cerca di restituire una fotografia del nostro bel paese attraverso un pop digitale assai gustoso. In qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
No non mi arrendo al mercato. Ma stare al passo coi tempi o provarci mi sembra il minimo. E poi nel mio bagaglio culturale musicale c’è rock, pop,jazz, elettronica… una miscellanea fondamentale per poter arrivare, attraverso le diversità musicali, a comunicare emozioni diverse.
In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Innanzitutto essere veramente se stessi e poi arrivare al grande pubblico. Soprattutto se fai musica indipendente.
E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
Potrebbe bastare eccome. Sarebbe il pubblico direttamente a decidere di un tuo possibile successo. Vero.
Finito il concerto di Furia: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Sicuramente un mio brano, magari in versione acustica o addirittura sinfonica. Come al cinema, quando alla fine del film, insieme ai titoli di coda parte la colonna sonora. Ecco, un mio concerto lo immagino come un bel film. A sipario chiuso e luci accese una musica, la mia, che accompagna all’uscita il pubblico. Una musica soffusa ma presente, che consenta alle persone di parlare tra loro, di scambiarsi sorrisi e critiche. Ma che sia la mia musica, è fondamentale. Per lasciare oltre al ricordo della serata passata insieme, ancora delle note, o quella melodia che rimarrà loro in testa fino a quando chiuderanno gli occhi nel letto prima di addormentarsi. Un mio saluto personale, intimo.