LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: IVAN FRANCESCO BALLERINI

Parliamo di un disco d’esordio davvero interessante. Esce per la RadiciMusic il primo disco di inediti in studio di Ivan Francesco Ballerini dal titolo “Cavallo Pazzo”, fuori moda come lascia intendere lui e come il trend della nuova musica italiana vorrebbe. In realtà è un gran disco d’autore, dai suoni classici e accomodanti, dalla bella scrittura melodica. E nel cuore delle sue liriche si dipana la storia dei Nativi Americani, tra finzione e realtà… tra vita del passato e spunti di riflessione per il presente che viviamo. A lui le nostre consuete domande di Just Kids Society:

Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?

È una domanda difficile. Si, senza dubbio le cose sono cambiate negli ultimi anni. La musica D’autore sembra estinta. Poi però uno esce con un disco come “Cavallo Pazzo”, che se ne frega dei cliché, è ottiene un certo interesse. Quindi vuol dire che ancora c’è chi crede nella musica di un certo livello. Credo dipenda molto da noi musicisti quello che sarà il futuro. Il problema che produrre cose belle, canzoni ricche di significati è faticoso e soprattutto dispendioso. Io lavoro da solo, non posso dividere le spese… ma questo è il mio momento ed è anche il mio modo preferito di comunicare emozioni. 

E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca –  l’appartenenza al sistema?

“Cavallo Pazzo” è un disco “fuori moda”, come i pantaloni a campana, non ho cercato larghi consensi. A me premeva raccontare una storia ed è esattamente quello che ho fatto. La differenza la fa il messaggio che tu lanci… se parli di frivolezze, anche se ti avvali di musicisti strepitosi, produrrai un disco frivolo. Se hai canzoni ricche di contenuti, anche se commetti errori, come ne ho commessi io, i testi delle canzoni riescono a colmare le carenze.

Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi

Si fa musica soprattutto per stabilire un contatto col pubblico. In fondo tu racconti le tue storie agli altri. Le mie canzoni raccontano storie, non sono mai fine a se stesse e non vogliono stupire. Io desidero che l’ascoltatore, se chiude gli occhi, viva con me quella data storia. Tutto qui. 

E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?

Io ho 53 anni, non sono più, purtroppo un ragazzo. Mi interessa ottenere visibilità, ma da uomo adulto non da “pischello”. A volte poi penso che essere troppo presenti sia addirittura un danno, sia controproducente. Basti pensare ai miti che hanno creato personaggi come Battisti o Mina, proprio grazie alla loro “non presenza,” che alimenta il mito e stimola la fantasia. 

Un lavoro di storia e di amore, di canzone d’autore e di bellissimo pop che fa viaggiare. Dai Nativi Americani alla vita di tutti i giorni. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?

È un disco che narra le gesta di personaggi che sono leggendari nell’immaginario collettivo. Con questi miei racconti, cinematografici, come li ha definiti Michele Neri, direttore della rivista Vinile, mi interessava ribadire ulteriormente come l’uomo bianco sia stato distruttivo verso i nativi Americani. Oggi se vai ad analizzare nulla è cambiato. Si fanno ancora guerre, per accaparrarsi terre, petrolio, materie prime a discapito di disgraziati che non hanno armi per combattere. 

Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?

Non so. Di sicuro l’arte in Italia non sta attraversando un momento felice. Pensare che l’Italia è la culla dell’arte. Per anni è stata privilegiata roba brutta, altrimenti non si spiegherebbe il successo di Jovanotti, e adesso ne paghiamo le conseguenze. 

E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?

Questo a me non interessa. Mi interessa raccontare le mie storie. Se piacciono bene, se non piacciono pazienza. Ma vedo che c’è molta curiosità intorno a me… perché io sono nato per fare questo mestiere. 

E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto di Ivan Francesco Ballerini, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?

Per salutare la fine di un mio concerto? Un brano a caso di Fabrizio De André… tanto sono tutti capolavori…

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