LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: ESC

Intervista di Gianluca Clerici

Romano quasi di Roma come forse andrebbe detto… Francesco Botti in arte ESC fa quadrare il cerchio artistico della sua vita musicale, fatta di live, progetti, un post rock che oggi, dopo una borsa di studio vinta al CET di Mogol, approda in una scrittura pop d’autore molto interessante. Il suo primo disco è “Argonauta”: disco “numero 0” di vita e niente altro, se così possiamo dire. Una summa di ispirazioni, di direzioni e di pensieri sulla forma canzone che trova un equilibrio molto indie in un mix tra ricerca e tradizione guidato dalla produzione artistica di Alberto Paderni e la collaborazione di Antonio Pagano. Un esordio di chi esordiente non è. Forse un punto da cui ricominciare sicuramente… a lui le consuete domande di Just Kids Society:

Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?

Credo che ci sia molta disillusione in giro. E questo è un bene e un male. È un bene perché la disillusione avvicina alla “verità” e all’autenticità. Un male perché l’espressione più “codificata” viene subito percepita come finta. Si rischia di mancare di profondità, ma ci sono molti artisti che riescono a mediare bene tra queste cose e per me questo è un grande valore.

E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca –  l’appartenenza al sistema?

Ah non saprei proprio rispondere. Ho lavorato al disco con tutta la sincerità che sentivo in corpo, in tutte le fasi. Certo, alla fine di questo lavoro capisco quanto consapevolezza e sicurezza portino ad amplificare la parte di personalità, ma non c’è testo o melodia che io non abbia vissuto come sincera e spontanea, non c’è arrangiamento che abbia scelto se non per emozionarmi o divertirmi.

Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?

Scrivere canzoni per me è un’esigenza. Poi uno può sentire o non sentire il bisogno di essere ascoltato, capito. Sono cose diverse. La seconda per me non è inseguire il pubblico ma avvicinarsi.

E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno  dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?

In un modo o nell’altro, apparire fa e ha sempre fatto parte del gioco. Adesso sicuramente c’è una febbre incontrollata perché tutti possiamo finire su una playlist di Spotify, mentre entrare in top 10 fino a dieci anni fa era un attimo più complicato… È innegabile che senza apparire è davvero difficile vivere cantando canzoni. Detto questo poi c’è una questione di stile.

Canzone d’autore dal DNA digitale, leggera e trasparente, senza maschere ma con lineamenti ben prodotti e ben sicuri. C’è poco di lasciato al caso, c’è molto di studiato e di ragionato… è tutto molto misurato, come le singole parole che hai scelto per le tue liriche. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?

Wow, una definizione impegnativa. E anche qui non saprei bene come rispondere. Argonauta rappresenta sicuramente il mio percorso, il mio modo di comunicare i miei pensieri e i miei stati d’animo. Forse la differenza sta tra la musica e i testi. In questo disco è in particolare con i testi che ho cercato di dare un punto di vista che potesse lasciare qualcosa di nuovo.

Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?

Sicuramente il 2020 è un anno particolare e in generale per gli emergenti non è facile accaparrarsi date, ma credo sia un mondo ancora vivo e vegeto. La scena si divide tra artisti che fanno grandi numeri su Spotify ma che poi non fanno date – o le fanno ma sono vuote – e quelli che invece hanno nel live la loro forza. La dimensione live è quella che preferisco, è lì che ci si fa conoscere per davvero e si condivide con le persone. Chi resta è chi spacca sul palco per me.

E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?

Ah beh questo va chiesto alle persone. Di certo non se ne vuole tenere a distanza, anzi, cerca di parlare chiaro di cose che credo appartengano a molti.

E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto di ESC, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?

Eh dipende da un sacco di cose! Oggi ti rispondo un po’ di indie pop europeo preso bene, tipo Jain, un po’ di festa pop insomma.

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