LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: KALAFI

Intervista di Gianluca Clerici

Andamenti reggae, quel mood glamour che solo un certo tipo di dancehall sa come restituire… e poi l’esteta che impera con un’energia solare… e non è un caso se l’oro brilla come brilla la ricchezza della luce. E questo filone lega a se le canzoni contenute in questo Ep che segna il ritorno in scena di Kalafi: ascoltando questo “24K” non potevano non sottolineare l’aspetto sociale con un artista che dietro le apparenze luccicanti sa evidenziare la vita di tutti i giorni, chi siamo e cosa siamo. A Kalafi e all’oro del suo ritmo, le consuete domande di Just Kids Society:

Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?

In una vecchia mia canzone dal titolo “Calabria mia” dico : “u sacciu cà a vita esta na rota e so che non si fermerà” (Io lo so che la vita  una ruota che gira e non si ferma), proprio ad indicare la mia consapevolezza circa lo scorrere degli anni, delle mode, dei dogmi. Personalmente da ragazzino dicevo ai miei zii: ” Ma cosa ne capisci tu”!!! Ed oggi a trentacinque anni suonati, sicuramente riceverei la stessa risposta da un quindicenne su una qualsiasi tematica perché il gap generazionale non mi permette di comprendere a pieno  quello che lui pensa. Onestamente provo compassione per tutti quegli artisti che denigrano la musica dei giovani, dimenticando di essere stati loro stessi denigrati in passato….. Vivi e lascia vivere, crea e lascia creare.

E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca –  l’appartenenza al sistema?

Vedi bro, io penso che omologarsi sia veramente noioso e falso: noi non siamo tutti uguali e non lo saremo mai, altrimenti Dio ci avrebbe fatti uguali a priori. Credo invece che nel conoscerci, nel confrontarci, nell’aprire mente e cuore, con onestà, agli altri sia nascosta la chiave per un mondo armonioso dove le differenze sono viste come una cosa preziosa e non un tabù.

E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?

Se sai da dove vieni, sai dove vai. Se sai chi sei, arriverai. “guappariell sopra i social con due buste avanti, ma quando entrano in questura snitcha come tanti, per salvarsi il culo si trasformano in cantanti” cit. BamBam. Il vero resta una stella, il fake una cometa.

Un nuovo Ep per il “Ragazzo di Calabria”, un suono estivo sicuramente, di amore e di ricchezza spirituale soprattutto. Bandiera di benessere che non passa necessariamente nel materialismo e che non sempre dev’essere scanzonato come un tempo di reggae. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?

Io posso cambiare il modo di scrivere, le parole chiave, ma non cambio il mio modo di essere e di pensare, ho combattuto troppo per mollare tutto.

Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?

Forse la causa sta nella strana gestione del business musicale in Italia: non esiste un sindacato per i musicisti, non esistono corporazioni che aiutino gli artisti a fare della propria arte un lavoro riconosciuto come tale e se ci sono hanno purtroppo poco spazio di manovra.

Ancora oggi quando dici che fai l’artista ti rispondono: ” si ma per vivere cosa fai”? I live stanno pian piano divenendo un “terno al lotto” per il promoter, quindi li capisco quando vogliono puntare al colpo in canna sicuro; questo è sempre stato un paese che ha paura di rischiare. Comunque resto dell’idea che i live non moriranno mai e che la gente ha un bisogno atavico di stare insieme per scambiarsi vibrazioni positive. Perciò anche il momento mediatico della musica lascia il tempo che trova, non ho dubbi al riguardo.

E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?

Per la gente, con la gente. Posso fermarmi qui.

E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto di Kalafi, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?

“La mia libertà” di Franco Califano, “Minuetto” di Mia Martini e poi tanta, buona reggae music.

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