INTERVISTA: GIUSEPPE D’ALONZO – “Strane forme di complicità” (Automatic Records, 2020)

Intervista di Gianluca Clerici

A quanto pare prosegue in italiano il percorso d’autore di Giuseppe D’alonzo, rocker di classiche radici roots, di antiche abitudini e di un inglese vissuto che però torna a mescolare i passati della psichedelia con la leggerezza pop italiana. Nuovo disco, nebuloso, dai contorni per niente trasparenti ma dal fascino “dannato” e vissuto. “Strane forme di complicità” – la cui title track si arricchisce anche di un video (apocalittico manco a dirlo) firmato da Michele Bernardi – è un disco di ampi spazi, di quel richiamo blues nelle organze di chitarre elettriche sottili, di un bisogno di pace e di evasione… e voglia di “America” con questa chiusa dal titolo “In the End” concessa totalmente alla voce di Melanie Crew. Un buon lavoro che avrebbe certamente trovato ampia coerenza dentro i solchi di un vecchio vinile anni ’70.

Ti avevamo ospitato per la nostra rubrica ma ora, in occasione di questo nuovo disco cerchiamo di andare in profondità. Parlaci di queste “Strane forme di complicità”… a chi ti riferisci?

Per me strane forme di complicità, rappresenta la deriva della nostra società e del moderno modo di relazionarci con gli altri.

Abbiamo accorciato così tanto le distanze da essere oramai quasi tutti uguali, omologati per l’appunto. Tutti così simili, apparentemente vicini e invece paradossalmente sempre più soli e isolati, quasi ormai incapaci di esprimere opinioni davvero nostre. Rincorriamo una verità che ormai è anch’essa svanita nella quotidiana menzogna tanto da non riuscire più a distinguerla nell’oceano digitale che ci sta inghiottendo.

La dipartita delle ideologie a favore del materialismo più sfrenato sta accelerando il processo di deterioramento della nostra amata terra ma ancor peggio della nostra società.

Vaghiamo come gli zombie del video e ci aggrappiamo ad ogni forma di “nuova verità” proposta dall’influencer del momento.

Il messaggio che vuole lanciare questa canzone è però un messaggio di speranza.

L’essere umano sopravvivrà a tutto questo, evolverà

È nel presente però che dobbiamo prendere le decisioni giuste, magari impopolari per fare in modo che l’evoluzione vada in modo diverso da quello che ci si prospetta…da quello immaginato in questo video…

I dati del presente però ci lasciano con un grosso punto interrogativo: come l’essere umano vuole davvero evolvere? Vogliamo fondere i nostri pensieri in un unico grosso cervellone che ragiona, acquista, decide, ama, soffre, ovvero vive per nostro conto?

Oppure vogliamo farci coraggio, riprendere in mano il timone delle nostre vite, scendere dal Titanic e affrontare il mare aperto, ognuno con la propria fiera barchetta?

Un disco che celebra il sogno che a me personalmente arriva come energia salvifica in questa vita. Cosa sono per te i sogni?

Esatto, l’intero cd è un viaggio onirico attraverso il mondo dei sogni.

Tratta temi sempre in modo allegorico, quali le dipendenze, l’amore, le fragilità, la morte passando per momenti di maggiore lucidità in cui si affrontano temi di attualità con un pizzico di ironia.

La legge viene vestita da donna e descritta come un essere fragile, terrorizzato dal fardello che ormai non riesce più a sorreggere, la nostra libertà.

La sensibilità viene eletta ad eroina e accostata ai tanti “fragili eroi” che combattono per l’integrità, l’etica e l’amore ormai da troppo tempo calpestati o banalizzati.

Molti elementi vengono presi in prestito per restituire all’ascoltatore un viaggio fedele nell’immaginario del mio mondo dei sogni…

Ci sono nuvole animate, ci sono draghi e conti dalle facili allusioni politiche, castelli, labirinti, fumi che ci confondono, ma soprattutto ci sono esseri viventi dalle sembianze umane con la testa a forma di display che proietta un hashtag a simbolo della completa omologazione a cui stiamo approdando.

Ma cosa sono i sogni se non una dipendenza necessaria e funzionale alla nostra sobrietà?

È un percorso che parte dal primo brano “Sober” in cui si viene subito proiettati in questo universo onirico, prosegue atterrando su un pianeta terra ormai abbandonato in cui questi zombie/ hashtag vanno in ricognizione e termina con “in the end” brano che ben rappresenta il significato della morte.

Insomma, ben nascosto dietro il tema dei sogni c’è la nostra vita, ci sono i sentimenti e c’è tanta attualità, persino il tema della perenne guerra per le materie prime.

Forse è necessario sognare per affrontare questi temi ormai fossilizzati?

Ho provato questa dimensione espressiva per dire quello che ormai è da troppo tempo dato per scontato ma che scontato non è…

Forse è necessario trovare un modo di comunicazione differente per arrivare al cuore delle persone senza passare per la razionalità ormai assuefatta al bombardamento mediatico.

Che poi non in pochi momenti torni anche nel mondo terreno. Anche questo è importante vero?

Assolutamente sì.

Durante questo viaggio ci sono momenti sobrietà in cui l’amore sembra davvero prendere il sopravvento sui sogni che si alternano di brano in brano

“solo un pretesto” e “Lei” ci riportano in un universo terreno in cui uomini e donne si amano, si cercano, litigano ma si comprendono.

I mostri della notte, le tante facce delle nostre percezioni… qualcuno disse che il vero problema e i grandi pregi sono solo macchinazioni che partono da noi e dalla nostra testa. Cosa ne pensi?

In buona parte lo penso anche io, ed è per questo che credo fermamente che sia fondamentale riappropriarci quanto prima della nostra identità e delle nostre peculiarità. Ciò che ci distingue dagli altri esseri viventi è proprio la nostra mente e la capacità creativa che ci permette di affrontare i problemi e la vita stessa da infiniti punti di vista differenti. Nel momento in cui abbiamo portato all’estremo la nostra capacità di sintesi, semplificando e omologando sempre più i problemi, abbiamo sviluppato oltremodo il nostro pensiero razionale ingabbiando i “mostri” che abitano il nostro subconscio, riducendoli a cagnolini ammaestrati che sanno compiere perfettamente i compitini assegnati ma pressoché incapaci di generare quella fiamma che ardendo illuminava le menti creative di tutti i tempi.

Che poi questo suono che sembra provenire da un passato acido, psichedelico ma comunque attentissimo ad un linguaggio pop (e su tutte penso al mood di “Wish You Were Here”). Anche questa scelta di suoni e di estetica è un filo conduttore con i nostri sogni?

Certo, per quanto mi riguarda la musica mi proietta subito in un universo incantato.

Determinati suoni, un determinato modo di cantare, determinate immagini catturano i miei sensi. Quindi la scelta dei suoni, degli arrangiamenti sono molto poco casuali, e, non di rado, riportano ad un universo musicale che ha a che fare in qualche modo con la psichedelia e alcune volte con i Pink Floyd che ho tanto ascoltato e amato.

La canzone digitale di oggi… come la vedi? Parla spesso di omologazione e dunque anche nel fare canzoni c’è tanta omologazione… non trovi?

La vedo come tutto il resto, ovvero come un flusso di informazioni, di bit, che viaggia alla velocità della luce arrivando più o meno lontano …di sicuro un paradosso di questa era digitale in cui tutto è alla nostra portata, ma non rimane, scompare così velocemente come è arrivato.

Fateci caso… quante fotografie scattiamo? Un’enormità. Un tempo si scattavano le foto presenti in un rullino, si stampavano e si raccoglievano in un album che sono sicuro tutti noi ancora abbiamo gelosamente custodito come un attimo della nostra vita passata.

Adesso sono tutte postate, memorizzate in cloud, centinaia di migliaia di foto sempre alla nostra portata, praticamente è come non averle, che emozione possono suscitarci se le abbiamo sempre a portata di mano? Quindi qual è la morale? La morale è che oggi conta solo il presente, quello che vogliamo mostrare in quell’istante nel post, nello stato e poi via, avanti un’altra, senza fermarci mai, senza riflettere, veloci, veloci, veloci….e così purtroppo sono anche le canzoni, abbiamo così tanti modi per ascoltarle, archiviarle, postarle che siamo più attenti all’aspetto “estetico”, a come ci vengono presentate, che non all’emozione che potrebbero suscitarci, non c’è tempo per le emozioni, velocità, rapidità, come un fluido che scorre senza andare in profondità, come appunto un flusso di dati ininterrotto senza regole. Questa mancanza di regole, e non intendo solo in campo musicale ma molto molto più in generale, sta facendo ricadere sulle nostre esili spalle tutto il peso di una questione morale che nessuno ormai vuole più sobbarcarsi, a partire dalle istituzioni preposte. A noi quindi il compito e il totale arbitrio di autoregolare questo sistema apparentemente libero, un mostro oramai fuori controllo.

Che poi, anche tu in fondo rispetti dei cliché… l’annoso problema di sempre: rispettare delle forme pre-costituite è una forma di omologazione non credi?

Secondo me bisogna conoscere bene il sistema ed utilizzarlo per capire di cosa si parla e cercare quindi di sensibilizzare e proporre modelli alternativi, umanamente sostenibili…

Chiudiamo parlando della copertina. Ci incuriosisce questa “strana forma di solitudine”…

In effetti vuole trasmettere questo senso di angoscia, questi umanoidi dal viso a forma di display rannicchiati in posizione fetale che escono dalle capsule spaziali a forma di uovo, in uno scenario desolato. 

I colori scuri, cupi, quasi a restitutire una immagine monocromatica…tutto porta a sentire questa solitudine, questo vuoto, come paradosso della modernità in cui tutti, come dicevo, siamo apparentemente connessi, sempre in comunicazione, così troppo in comunicazione gli uni con gli altri da non riuscire ad instaurare più rapporti profondi, ma rigorosamente superficiali, così da poter essere fluidi e quindi adatti e pronti al continuo cambiamento.

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