LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: D.In.Ge.Cc.O.

Intervista di Gianluca Clerici

Direi che raramente ci sentiamo fieri di aver creato certi format, che all’apparenza sembrano banali, ma che forse vengono resi banali da questa prosopopea artistica ed umana che viene sfoggiata in ogni direzione ma poi si perde quando serve, quando chiamata a farlo su argomenti semplici quanto quotidiani. Le nostre piccole domande voglio essere proprio questo: un modo per accogliere la critica di chi vive da protagonista un modo a noi spesso troppo distante. E Gianluca D’Ingecco, in arte D.In.Ge.Cc.O., sa bene come usare la filosofia personale maturata sul campo… e sa bene cosa dire, non solo capendo il senso ma anche celebrando quel che vogliamo fare. Nel nostro piccolo… ci proviamo.
Che poi un disco strumentale come “Linear Burns” non ha parole ma solo linee guida dentro cui muoversi. Generi dal mondo e nel mondo conviventi nel medesimo istante di tempo. Da leggere con attenzione…

Parliamo di musica o di gossip? Oggi il mondo sembra più attento agli effetti di scena, da dare in pasto al giornalismo e alle tv più che ai contenuti degli artisti. Ecco la domanda: perché qualcosa arrivi al pubblico di questo presente meglio badare quindi alla scena o restare fedele ai contenuti?
Ognuno è figlio del suo tempo e inevitabilmente ci si deve adeguare al tempo che ci è dato di vivere. Io credo che ci troviamo in una fase in cui l’attenzione del pubblico si sia un po’ stancata esclusivamente degli effetti di scena. O meglio che l’attenzione esclusiva per gli effetti di scena stia un po’ scemando. Gli anni zero e 10 sono stati dominati dai prodotti o fenomeni musicali costruiti a tavolino dalle grandi major che avendo più possibilità, si sono messe a creare da sole l’artista e tutto il contorno, affidandosi spesso ad esperti song writers e visagisti, riuscinedo nel difficile compito di sfornare prodotti sempre uguali a se stessi, dettati dalle tendenze del momento. In pratica si sono tolte la briga di cercare il talento e rischiare di proporre le novità. Da qualche anno però internet e la cosiddetta musica indipendente, hanno creato un mercato parallelo a cui tutto il mercato discografico sta prestando, inevitabilmente, sempre più attenzione, perché è da li che provengono le vere novità. Certo anche questo mercato parallelo ha un po’ le sue regole e non è avulso da certi meccanismi, tuttavia non riesci ad entrarci se non hai dei buoni contenuti da proporre.
Sono quindi fiducioso in questo nuovo trend e nutro la speranza che riesca sempre di più, a trovare nuovi spazi e a fare emergere dei veri talenti. Certamente chiunque oggi vuole veicolare un messaggio, deve capire che è importante essere imprenditore di se stessi e soprattutto, prima di avventurarsi nel voler farsi conoscere a tutti i costi, comprendere se si è portatori di un messaggio di qualità che meriti davvero di farsi conoscere. Una visione complessiva del proprio prodotto che possa essere capace di valutare, con spietatezza ed obiettività, se davvero possa essere credibile e suscitare interesse.

Guardiamo sempre al passato, alle radici, ai grandi classici per citare insegnamenti e condizionare le mode del futuro. Perché? Il presente non ha le carte per segnare una nuova via?
Ma in fondo non è stato sempre così? Beethoven non si ispirava a Mozart? Sarebbe nata la disco music senza il Funk ed il Soul o il Jazz? Sarebbero esistiti i Depeche Mode senza Bowie o i Kraftwerk? Nell’arte in generale, come in ogni attività creativa, guardare al passato è una necessità ontologica. Non se ne può prescindere. La cosa importante è capire la direzione che un determinato periodo storico sta prendendo. Anticiparne in contenuti estetici. L’arte questo deve fare e così l’artista. Un artista è colui che coinvolge creatività ed immaginazione nella realizzazione di un prodotto finito. Karl Kraus diceva che è un artista solo colui che sa creare un enigma da una soluzione.
Ho sempre inteso questa frase dandone la seguente interpretazione: Un’opera finita è una soluzione, rappresenta la visione di chi l’ha creata in quel particolare momento storico ma per essere arte deve, al tempo stesso, rappresentare un enigma, ovvero una cosa di cui non si comprende l’origine e la composizione. Un artista che guarda al passato senza guardare al futuro, senza tentare di rappresentare la propria visione del mondo, del futuro che sarà, fa solo del mero citazionismo.

Che poi di fronte alle tante trasgressioni che ci vengono vendute dalle televisioni, quante sono davvero innovative e quante sono figlie sconosciute e mascherate di quei classici anche “meno famosi” di cui parlavamo poco fa?
Appunto, ci sono indagini di mercato che spingono per riempire dei vuoti e creare il trasgressivo di turno per attrarre un target di riferimento. I talent show sono maestri in questo e ti propongono magari la band che fa rock progressive vendendotela come alternativa ed innovativa quando magari non fa altro che riproporre modelli musicali tali e quali a quelli di 20 anni fa di cui, i più giovani non hanno proprio memoria o, i più cresciuti, accettano per buoni perché gli ricordano nostalgiche sonorità dell’adolescenza. È tutto studiato. Sono prodotti fatti a tavolino. Ce ne sono tanti che vengono pompati dalle major che sono figli solo di un’ immaginario nato con l’unico obiettivo di riempire fette di mercato. Poi ci sono i contenuti e qui torniamo al discorso di prima. Se dietro alle maschere ci sono i contenuti te ne accorgi col tempo. Una maschera può certamente lasciare il segno nell’immaginario di ognuno di noi, se credibile, anche solo esteticamente. Ma nel concetto di trasgressione c’è molto di più. Oggi, a mio parere, trasgredire è riuscire a comunicare di essere in grado di pensare più che di apparire. Di pensare in modo autentico, non ruffiano.
Pensare significa avere un’identità, che è un attributo di per se stesso sociale, è vero, ma comunque il frutto di una solidità interiore che si propone. Un propria visione del mondo che si da in pasto al pubblico e che non sopravvive a lungo se è una visione costruita da altri.

Tra le righe di questo disco fatto di visioni e di allucinazioni, di distese e di psichedeliche sospensioni. C’è l’uomo ma anche tutto quello che ha costruito… e quello che sta demolendo. Il mondo e il glamour sono una costante in qualche modo. Ci vuole immersione sicuramente, fantasia, voglia di scardinare i propri paletti. Dunque come può parlare al pubblico di oggi che sta continuamente con i telefonini in mano a cercare di identificarsi dentro suoni digitali di format discografici ciclicamente copiati e riproposti?
Sinceramente è una domanda che non mi sono posto. Se avessi voluto interessare quel pubblico non credo che avrei mai fatto musica. Sono sempre partito dal presupposto che quello che faccio è per chi ha voglia di ascoltarlo. Ovvero per un pubblico diverso da chi va alla ricerca dei cosiddetti format discografici di cui abbiamo parlato. Mi muovo su un’altra prospettiva e il pubblico che mi piace interessare e coinvolgere segue anch’esso altre dinamiche rispetto a quelle della cosiddetta massa omologata di cui, in fin dei conti, facciamo aprte un po’ tutti no? Ma farne parte non significa regalare all’omologazione l’esclusiva dei nostri interessi. Non voglio dare l’impressione di essere un autore snob per un pubblico snob, ma anche se fosse questa, alla fine, la realtà, non mi scandalizzerei e ne sarei piuttosto fiero.
Ti assicuro però che qualcosa sta cambiando. C’è tanta gente che cerca qualcosa di diverso e che vuole approfondire. C’è chi si accontenta di andare al cinema una volta l’anno per vedere i cinepanettoni e chi si abbona per vedere invece un film d’autore a settimana e approfondire poi, magari, con un dibattito in un forum dal vivo o sui social. Ti assicuro che quelli che cercano di meglio dei prodotti preconfezionati, sono tanti e stanno crescendo sempre di più; Se non avessi questa certezza ed un mio pubblico che mi supporta in questa convinzione, probabilmente non sarei qui a raccontarmi. Sono fiducioso e convinto che una bella fetta di mercato si sta lentamente muovendo verso questa direzione e ha desiderio di approfondire quando si trova di fronte a qualcosa di non banale.

Parliamo di cultura e di informazione. Siamo dentro un circo mediatico dalla forza assurda capace di fagocitare le piccole realtà, anzi direi tutte le realtà particolari di cui parlava Pasolini. La musica indipendente quindi che peso continua ad avere? Oppure viene lasciata libera di parlare tanto non troverà mai terreno fertile di attenzioni?
È un processo in atto da tanto tempo questo. Le profezie di Pasolini si sono avverate. Il rapporto di sudditanza tra chi guarda uno schermo e chi ci parla dentro ha creato e crea mode e tendenze, piega il gusto degli ascoltatori, lo condiziona, lo indirizza. Chi ha più soldi per diffondere il verbo attraverso questi canali, arriva al grande pubblico ed il mercato lo premia. Con internet e la mobilità tecnologica, smarthphones, ipad, computer portatili e via dicendo, le possibilità che i mezzi che oggi abbiamo a disposizione per dare corpo alle profezie e le paure di Pasolini si sono enormemente dilatate. Si sono dilatate così tanto che alla fine hanno creato un effetto di ritorno, un po’ come le teorie di espansione dell’universo dopo il Big Bang, il quale, arrivato alla sua massima espansione, vede realizzarsi un effetto contrario, appunto di contrazione. Per dirtela in parole povere, io credo che a differenza di 20 fa la maggiore diffusione dell’utilizzo della rete e degli strumenti mobili per utilizzarla, ha permesso a tutti di veicolare il proprio pensiero in tempo reale e questa eccessiva interazione diretta con la rete, che quindi ciascuno di noi può avere con il mondo, da una parte ha creato una saturazione ed inquinamento dell’informazione e questo è innegabile (negazionismi vari e via dicendo) ma dall’altro ha anche creato grandi possibilità per tutto ciò che possiamo definire indipendente. Il primo effetto è preoccupante perché sta tentando di trasformare l’ignoranza in opinione e questo è un problema che la rete ed internet si troveranno a dover affrontare seriamente nel prossimo futuro. Per quanto riguarda l’altro aspetto abbiamo assistito e stiamo ancora assistendo ad una rivoluzione. La possibilità, ultra democratica, di avere voce e poter fare tendenza, andando contro corrente rispetto al cosiddetto mainstream. In fondo non tutti utilizzano la rete in modo nevrotico, acritico e banale. C’è tanta gente che non si accontenta di vedere il video di 10 secondi su Tik Tok o di vedere le foto postate su instagram dall’influencer del momento. Sinceramente credo che sia iniziata una parabola discendente di tutto questo, o se non è ancora iniziata, diciamo che stiamo vivendo la sua massima espansione. Siamo all’apice della salita delle montagne russe e già ci prepariamo alla discesa col pensiero. Credo che gli echi della parabola discendente di ritorno già si percepiscano. Sta a tutti noi dare sempre più voce e forza a ciò che esce fuori dagli schemi e soprattutto sta a voi giornalisti di frontiera, più attenti di altri nel percepire i movimenti tellurici provocati, magari, da qualche creativo indipendente e di talento. Bisogna tenere duro, avere fiducia nel proprio lavoro, credere nella sua qualità e certamente non vivere fuori dal mondo come eremiti, ma rimanerci nel mondo anche se si ha l’impressione, spesso, di navigare in un oceano fagocitante. L’avanguardia è sempre nata da singoli o piccoli gruppi di persone che hanno agito dentro il sistema.

Più in generale, la musica può tornare ad avere un peso sociale per la gente quotidiana?
Ci riuscirà se sarà in grado di recuperare quel connubio, che l’ha così tanto caratterizzata in passato, tra edonismo e trasgressione. La trasgressione intesa come reazione all’esistente, allo status quo, critica sociale e di sistema che non deve necessariamente sfociare nel messaggio politico, per intenderci, ma che non può nemmeno banalizzarsi sino a rinunciare ad ogni introspezione autentica ed essere solo di facciata, estetica nel senso più deteriore del termine. Ti faccio un esempio banalissimo: De Andrè ha scritto molte canzoni che parlano d’amore, l’argomento infinito per ogni artista che si rispetti, uno degli argomenti per i quali vale la pena vivere un’esistenza e rappresentarla con la creazione artistica, eppure nei testi di De Andrè c’è sempre una visione ampia delle cose, tante sfumature che si rivolgono ad inquietudini universali e spesso tipiche del nostro tempo. E considera che De Andrè era un solitario, un individualista, eppure il suo messaggio aveva una immensa carica emotiva e sociale, spingeva e spinge ancora, a guardarsi dentro e farsi delle domande sull’esistenza e sul nostro rapporto con il prossimo. Questo credo che sia il primo obiettivo che un artista si deve porre. Ecco perché sono convinto che, oggi più che mai, ci sia bisogno del ritorno della figura dell’artista intellettuale.
L’artista è l’unico che può farsi interprete di quella sana follia che ha sempre consentito al genere umano di fare dei passi avanti verso il suo futuro. Il problema del sistema che avvolge e circonda l’arte nel suo complesso, oggi, e che inevitabilmente riguarda ogni creativo ed artista che si rispetti, è che è molto difficile cercare di essere davvero liberi di essere se stessi.

E restando sul tema delle trasformazioni: vinile, CD o canali digitali? Oggi in fondo anche la musica è gratis, basta un click… è segno del futuro o è il vero cuore della crisi? Che poi tutti condannano la gratuità però tutti vogliono finirci su Spotify…
Il problema qui è davvero solo relativo alle politiche commerciali attualmente in vigore. Le royalties pagate agli artisti dalle piattaforme di streaming, sono davvero ridicole e offensive della dignità del loro lavoro. E qui torniamo al tema delle etichette indipendenti o degli artisti indipendenti. È impossibile per un artista che vuole affacciarsi in modo professionale alla musica riuscire a vivere solo di musica se si dovesse basare sulle royalties pagate dalle piattaforme di streaming e su qualche serata fatta chissà dove. Ho letto che sul tema c’è molto fermento ma siamo solo agli inizi e credo che ci sia ancora molto da fare. Il rischio è proprio quello che in un sistema fatto così a rimanere “in vita” saranno solo i “fenomeni” appoggiati dalle major con milioni di visualizzazioni o streaming all’attivo. È un’industria che deve completamente rivedere se stessa quella dello streaming, ma è chiaro che se il sistema, oggi, ti offre questi mezzi, se vuoi farti notare non puoi, comunque, non esserci.

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto di D.In.Ge.Cc.O., il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Sheep May Safely Graze, aria di J.S. Bach, magari nella versione di Wendy Carlos (l’autore della colonna sonora di Arancia Meccanica di Kubrick nell’adattamento per sintetizzatori, di Beethoven e la nona sinfonia) riadattata per il sintetizzatore moog e pubblicata nel suo album del 1973 “Switched On Bach II” sequel dello storico Switched On Bach del 1968, ma qualsiasi altro adattamento per pianoforte o organo andrebbe bene lo stesso. Meno indicato troverei quello originale, scritto come cantata per soprano.
“Sheep May Safely Graze”, tradotto letteralmente in italiano “Le pecore possono pascolare in sicurezza”, è una di quelle arie che mi ha sempre incantato, sin da bambino, in grado di donare quella pace interiore nei confronti dell’esistenza, che pochi, come Bach, hanno saputo tradurre e regalarti in musica. Credo che sarebbe proprio il finale ideale da mandare attraverso gli altoparlanti, una volta abbassate le luci, dopo un mio concerto.

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