INTERVISTA: RIFF WILLER – “Streets of Chance” (Autoproduzione, 2020)

Intervista di Gianluca Clerici

Esordio per l’abruzzese Amedeo Quagliarella che in arte conosciamo come Riff Willer. Esordio decisamente poco contenibile dentro le innumerevoli smagliature di genere e di tempo, dal punk al grunge passando per il pop. Riff Willer in fondo non si addentra mai per bene in nessuna di queste direzione restando sempre fluttuante dentro i titoli di testa, quasi a farne un riassunto estetico più che a vestirne l’essenza di una cosa piuttosto che l’altra. Potremmo dire ne carne ne pesce… ma in realtà fate attenzione perché di personalità ne ha molta questo “Streets of Chance” e ci piace questo tornare indietro nel tempo, verso un modo bit (anzi mod per dirla all’inglese maniera). Ci piace questo suono arrugginito che non pensa troppo all’estetica ed è sbarazzino quanto basta. Addentriamoci, quanto possibile…

Partiamo banalmente da questo moniker? Chi è Riff Willer?
Riff Willer è un musicista di 23 anni che ha scelto questo nome d’arte in omaggio a due passioni: quella per la musica, che si porta dietro fin da piccolissimo e quella per il personaggio dei fumetti, Tex. Ne possiedo centinaia che custodisco gelosamente in camera mia e guai a chi me li tocca. Nel nome ci sta tutto il mio progetto: sonorità brit pop, respiro internazionale, visto che canto in inglese e voglia di farmi ascoltare all’estero, oltre che nel mio Paese, che, in ogni caso, adoro.

Dall’Abruzzo a Manchester… “senza passare dal via” direbbe qualcuno. Hai mai vissuto quella scena sulla tua pelle?
Certo che l’ho vissuta sulla mia pelle quell’avventura. Sì, proprio così, senza passare dal via, dritto dritto tra il grigio fumoso dei quartieri popolari di una città dove respiri musica e calcio, vagando senza meta dalle parti dell’Old Trafford ai pub meno raccomandabili. Ho avuto modo di conoscere da vicino voci e suoni, le atmosfere tipiche di una città non facile. E poi diciamolo: l’Abruzzo non è poi così lontano dal Regno Unito, in due ore e mezza di volo da Pescara sei a Londra.

E dall’Abruzzo cosa si vede di tutto il suono che hai dentro? Come vive Riff Willer in questa collocazione culturale (quella italiana in genere) e di abitudini di suono…?
Sai, non è la prima volta che mi chiedono, quasi con incredulità, del mio rapporto tra la terra dove vivo, l’Abruzzo e l’Inghilterra. Non vedo cosa ci sia di tanto strano. Sto in provincia, vero, in una città di poco più di 40 mila abitanti, dove di artisti dal respiro internazionale ne sono passati tanti. A Vasto, d’estate, hanno suonato fino a due anni fa i grossi calibri del Siren Festival. Se uno ha voglia, se ci crede, può fare musica dappertutto. Il mio è un modo personalissimo di comporre, non vado dietro alle mode, ascolto di tutto, ma certi fenomeni visti in tv non m’interessano più di tanto.

Stai espatriando con la musica, dal luogo e dal tuo tempo di origine. Quanti invece i punti di contatto?
Con il mio primo lavoro in studio, Streets of Chance, ho messo tutto me stesso, nel tentativo, spero riuscito, di far respirare aria nuova: otto tracce con cui passare il confine, espatriare come dici, assieme a chi mi ascolta. Quaranta minuti o poco più di musica per attraversare il tempo, l’inizio di questi anni ’20 un po’ così fino a un salutare tuffo nel passato.

Origini e ispirazioni. Io ci vedo gli Stooges quando fanno gli educati… tu anche gli Oasis… E dall’Italia invece?
The Stooges sono senza dubbio un riferimento. Come primo disco volevo che fosse caratterizzato dal sound che mi ha formato; di artisti italiani apprezzo molto De Gregori, Ivan Graziani, Vasco, Bluvertigo e Battiato

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